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Due chiacchiere con Franco Gasparri

Che in Italia intorno allo Scotch whisky ci sia tanta curiosità è sotto gli occhi di tutti oramai da qualche anno, e i segnali non mancano di certo: anche se, complice la crisi economica, i consumi sono in calo da anni, abbiamo visto una crescita costante dei festival di Milano e Roma, la nascita di un vero e proprio WhiskyClub tricolore e perfino la creazione del primo corso professionalizzante sul caro distillato, organizzato a Roma dallo Spirit of Scotland. 11044513_1586152491624068_4514225095321395985_nOvviamente va subito fatta una distinzione tra i blended whisky, che ancora oggi trainano la carretta e fanno più del 90% dei volumi di venduto, e i single malt, vera e propria nicchia nella nicchia, sfizio costoso di un manipolo di appassionati e vera ossessione morbosa di questo blog. Ma quanto sta cambiando questa accogliente nicchia e quanto sta crescendo questo manipolo di appassionati? Abbiamo ascoltato il parere di chi questo mondo contribuisce a plasmarlo da decenni, facendo due domande a Franco Gasparri, Master Ambassador di Diageo in Italia, “Keeper of the Quaich” e gran divulgatore del malto d’orzo in tutta la Penisola.

Come è cambiato, se è cambiato, negli anni il pubblico che si interessa al mondo del whisky nel nostro Paese?

Il pubblico è effettivamente cambiato molto da quando io ho iniziato a parlare di whisky in Italia, all’inizio degli anni ’90. Sicuramente un momento di svolta per quanto ci riguarda è stata l’introduzione sul mercato proprio in quel periodo dei “Classic Malts”, una linea di sei whisky di zone differenti della Scozia e con caratteristiche molto diverse fra loro, grazie alla quale il consumatore italiano ha cominciato a capire che il whisky di malto non erano solo le solite distillerie; e così è iniziato un processo di educazione al bere che ha coinvolto in un primo momento soprattutto barman, addetti del settore e sommelier. Erano pochi allora a conoscere la storia di quello che avevano nel bicchiere, peraltro quasi sempre dei blended whisky di fascia bassa, e il distillato veniva perlopiù associato a un immaginario un po’ ‘machista’ portato dal cinema; oggi invece, pur rimanendo una nicchia, la crescita del fenomeno dei single malt ha portato curiosità, ricerca della qualità e in definitiva maggiore consapevolezza.

E oltre alle vostre strategie, si è mosso qualcosa anche dal basso?

Di certo, al di là delle scelte commerciali dei grandi gruppi, un ruolo enorme in questo progresso l’hanno avuto la miriade di degustazioni organizzate negli ultimi due decenni e
poi il festival milanese dedicato al whisky, con la prima edizione nel 2005. Questo è il momento in cui il mercato si è aperto, con lo sbarco di più importatori e quindi di più etichette in Italia, fino ad arrivare in un crescendo costante all’edizione del Milano Whisky Festival di quest’anno, con tantissimi giovani e una sorprendente presenza femminile. Piano piano anche le donne cominciano a interessarsi e la loro presenza agli eventi porta una grande ventata di freschezza nell’ambiente. E voglio citare anche il fatto importantissimo della nascita di un festival romano, lo Spirit of Scotland, che è arrivato quest’anno alla quinta edizione.

Quale saranno i nuovi cliché evocati dal whisky nel terzo millennio, con l’avvento del “consumatore globale”, digitale e magari con un’età media più bassa? Intendo dire, il whisky conserverà la sua aura di bevanda raffinata per gentiluomini o è destinato ad avere un look più popolare? 

Credo che il consumo si andrà sempre di più a dividere in due filoni: il giovane incline a sperimentare e ad assaggiare cose nuove, spesso quindi miscelate, vedrà il whisky sempre di più come un distillato ‘pop’ e smitizzato; però ci sarà sempre anche chi coltiverà il culto di una bevuta più riflessiva e raffinata, col distillato assaporato in purezza. E poi non dimentichiamoci che per certi whisky, superata una certa fascia di qualità e di prezzo, l’unico modo di berli rimane quello per così dire meditativo.

A questo proposito, quale futuro vedi per il whisky nella miscelazione, dopo la     clamorosa esplosione del bartending in questi ultimi anni? 

Sono convinto che questa tendenza, nata negli Stati Uniti e a Londra, sarà vincente anche per i prossimi anni. Inizialmente tutto questo si è accompagnato al boom della produzione di bourbon oltreoceano, dove sono nate anche molte microdistillerie interessanti, ma poi il fenomeno è diventato globale e ha toccato naturalmente anche lo Scotch. Come Diageo abbiamo voluto rappresentare il ritorno del whisky nelle vesti di distillato da miscelazione 11214380_1057752664252185_7980521310612086462_ncontribuendo alla realizzazione di Music & Cocktails, un nuovo programma andato in onda su Sky Arte. Qui musica, bartending e un grande single malt come Talisker si prendono a braccetto in un mix dal fascino assieme antico e moderno. Più in generale la novità molto interessante è il cambio di prospettiva dei barman, che prima per le loro creazioni lavoravano sui bourbon, sui rye o sui blended whisky, mentre oggi c’è voglia di osare e sperimentare miscelando i più preziosi e complessi single malt. Io ero tra gli scettici della vecchia scuola purista, ma devo ammettere che certi risultati sono davvero sorprendenti.

E in Italia, quale futuro? Di fronte ai numeri del mercato statunitense e di quello asiatico, noi contiamo molto poco. In che direzione si muoverà Diageo? Qualità,    quantità o sopravvivenza?  

Quello che frega l’Italia in effetti sono i volumi di consumo. Le multinazionali, avendo per definizione a disposizione il mondo intero come mercato, tendono a dirigere gli investimenti dove il ritorno sarà poi massimo. Il consumatore asiatico oggi ama spendere anche per una questione di status, ma soprattutto è un grande consumatore, al contrario del bevitore italiano. Poi però quando andiamo a vedere la qualità, scopriamo che il consumatore nostrano è tra i meglio piazzati al mondo. E questo lo si vede molto bene anche nel consumo di rum e ovviamente di vino. Insomma, beviamo poco ma bene. Ed è per questa ragione che per il mercato italiano stiamo promuovendo bene il Johnnie Walker Blue Label, l’imbottigliamento premium della serie.

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