Giunto è il tempo di assaggiare finalmente Laphroaig 10: uno dei single malt di Islay di maggior successo commerciale in Italia, presente in molti supermercati e in quasi ogni bottigliera di locale. Spesso pubblicamente siamo stati critici verso questo whisky, anche se sappiamo che per molti è stato il classico “assaggio senza ritorno”, una folgorazione alcolica che sposta gli equilibri di una vita e porta alla passione cieca e senza freni per il whisky. Ci concediamo dunque questo assaggio, sperando di cambiare idea sull’espressione-base di una distilleria brutalmente adorabile come Laphroaig… Ringraziamo Angelo per il dram e per la compagnia durante la stesura della recensione.

N: il classico medicinale della torba (pasta per dentista, anzi: Angelo ci dice “etere per dentista”, ma vale solo per i nati prima degli anni ’70) di Laphroaig qui è virato nettamente sul dopobarba; c’è fumo di torba, vivo e “umido”, poi portacenere sporco (siamo più precisi: un portacenere di rame sporco incrostato di cenere); una dolcezza al contempo fresca e greve, divisa tra liquirizia (in legnetti: è un infuso di legno sto whisky), stecchette di vaniglia, miele e zucchero di canna, un bel po’ di marron glacé; poi tanto cereale, puro e giovane. Corn flakes glassati. C’è anche una nota astrattamente tropicale (non ci azzarderemmo a ipotizzare un frutto preciso) piacevole ma un po’ stucchevole, alla lunga. Molto aromatico, molto profumato. Note di tabacco da pipa, probabilmente diremmo Latakia.
P: ingresso debole, insufficiente anzi, con un corpo molto blando; poi arriva la grande botta di (troppo) legno, di metallo ossidato, poi un muro di dolcezza di caramello e marron glacé. Riesce ad essere, a nostro gusto, troppo dolce e troppo amaro al contempo (molto medicinale, ancora pasta per dentista, antibiotico). Scorza d’arancia umida, matura, quasi marcescente; forse chinotto, o lime.
F: non si può dire che non sia lungo e persistente! Il mare vien fuori soprattutto qui (aria, è proprio iodato e solo al finale). Si porta avanti quella combo tra metallico, amaro e ultradolce legnoso che prosegue all’infinito, con glorie alterne.

Non possiamo dirci soddisfatti da questo assaggio, ma d’altro canto saremmo disonesti se non riconoscessimo a questo whisky delle qualità oggettive. Il profilo resta unico, e dei barlumi dell’anima più profonda della distilleria (quella torba medicinale…) emergono con una chiarezza gloriosa, in fondo. Detto ciò, il naso è la fase che ci convince di più, anche se alla lunga tende a prevalere un legno dolce un po’ noioso; il palato per contro è una spremuta di legno, privo di complessità, ucciso definitivamente da una riduzione alcolica e da un filtraggio a freddo che rendono la bevuta francamente blanda… Come ridurre un leone – perché questo Laphroaig è – ad un innocuo gattino col collare di Elisabetta. 78/100. Disponibile su Aquavitae.shop.
Sottofondo musicale consigliato: Paul Simon – You can call me Al.
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