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Botti da orbi: il canone rye

I tipici chicchi “allungati” della segale

Un abbonato Rai ha sempre un posto in prima fila, così può centrare Insinna e la Clerici con i pomodori marci più facilmente.
Un abbonato Rye, invece, ha sempre l’animo in pace, perché è libero dalle aspettative. Niente ansie di perfezione, nessuno si aspetta l’eleganza o la profondità dello Scotch, quella che quando la assapori è un dono, ma quando non la trovi ti lascia deluso e col broncio come il bambino che voleva il galeone della Playmobil e invece la zia gli ha regalato un pigiama.
No, il Rye è differente e indifferente. Il Rye è Il mucchio selvaggio di Peckinpah, è un riff sempre distorto, la Rust Belt dell’America ruvida. Il Rye è la vita quando non è rose e fiori ma solo spezia e rughe, nel suo fluire incessantemente contraddittorio di piccole gioie e ampie imperfezioni. Per questo il Rye ci sta simpatico: si lascia scorrere, senza timidezze. E soprattutto, al contrario della Rai, del “canone” che paghi non ti penti quasi mai.

A Pike e ai suoi uomini il Rye piaceva quasi quanto i fucili e i dollari…

Riposte nel cassetto insieme a Tv, sorrisi e canzoni le velleità letterarie da lirico cerealicolo, veniamo al sodo, come disse il cliente con l’uovo fumante nel piatto. Il mantra del distillato di segale “nuova frontiera” ed eterno imminente protagonista della scena whisky ha francamente annoiato, almeno quanto il bollettino quotidiano dei contagiati. Il fatto è che così si riduce una categoria interessante e dalle grandi potenzialità a “tendenza”, mentre il Rye – il whiskey dei coloni europei che non riuscivano a coltivare orzo nell’America sconfinata dei bisonti – è orgogliosamente immune alle mode.
No, la segale non è un trend, è una filosofia tesa all’azione più che alla riflessione. Dunque sia lode a That Boutique-y Whisky Company – rinominata per l’occasione That Boutique-y Rye Company – per averle dedicato una serie talmente indie che al confronto i Gogol Bordello sono i Pooh. Qui di seguito una selezione di spiriti giovanissimi e imbizzarriti dalle bizzarre provenienze. Lucy in the Rye with diamonds.

Empire rye spirit 2 yo batch #1 (2020, That boutique-y rye company, 50%)
Empire Rye non è una distilleria, ma un consorzio nato per ricreare lo stile del whiskey di segale dello stato di New York pre-proibizionismo. In particolare, questo è un blended rye, con whiskey da 9 diverse distillerie, invecchiato due anni. C: ramato aranciato. N: qualcuno ha nascosto una Brooklyn verde nel sample? Bordate di clorofilla piacevolissime, legno fresco, un tocco di cumino. Fresco, “verde”. Dal cumino parte un sentiero olfattivo curioso che passa attraverso sandalo e spezie indiane. Poi albicocca e un che di foliage. Sorprendentemente buono. P: qui un filo sgarbato, l’alcol si sente. E si sente anche la segale, con la sua piccantezza legnosa. Burro fuso (toffee) e pane imburrato. Angostura. Col tempo si fa più morbido. F: oleoso, frutta secca, liquirizia e ancora filo acidità da albicocca. Impressionanti la finitezza di naso e finale, che non fanno sospettare un’invecchiamento così breve. L’estrema gioventù è più evidente al palato, dove gli spigoli si fanno più vivi. Però nel complesso colpiscono la personalità e l’equilibrio, davvero inaspettati. Mezzo miracolo: 84/100.

Helsinki rye 2 yo batch #1 (2020, That boutique-y rye company, 49%)
La Helsinki distilling, fondata nel 2014, è stata la prima distilleria ad aprire nella capitale finlandese dopo oltre cento anni, nel quartiere di Teurastamo, che un po’ come Testaccio a Roma in passato era il mattatoio cittadino e ora è il distretto del food & beverage. Curiosità: l’etichetta a fumetti ammicca al passato dell’edificio, che prima di essere adibito a distilleria è stato: centrale elettrica, fabbrica di sapone, fabbrica di polpette, autolavaggio e cantina di vini. Eclettismo, si chiama. C: ambra chiara. N: ah, la celeberrima grappa di Moscato finnica! Nota eccentrica assai, seguita da un tocco di zolfo e una sensazione di cibo per pesci. Non sembra rye, ma nemmeno whisky, al massimo ricorda i cereali stipati nei silos. In effetti è molto “farmy”. Poi cioccolato al latte, muesli con gocce di cioccolato e legno dell’Ikea. Un che di peperone? Di sicuro è secco. P: giovane e bello piccante. Datteri con sopra parecchie spezie: pepe, zenzero, chiodi di garofano e cardamomo. C’è ancora quella nota di Moscato che non si capisce da dove arrivi. Guizzi di tostatura (il legno), arancia amara e amarena sotto spirito. Meglio rispetto al naso. F: vin brulè (ma proprio vino bruciato), arancia, ancora un filo di grappa. Qui due anni non sono bastati ad addomesticare le bizze del distillato, che infatti “spara” note di grappa qui e là senza troppo senso. Il naso quasi respingente lascia spazio a un palato che pian piano si normalizza su un finale dolce. Altalenante, ma non illudiamoci che tutto sia perdonato. 76/100.

Stauning rye 3 yo batch #1 (2020, That boutique-y rye company, 48.5%)
Stauning è una distilleria che se ne sta pacifica nello Jutland danese, nel paesino omonimo a pochi km dal Ringkøbing Fjord, posto magnifico sulla costa occidentale dove c’è anche un paradisiaco affumicatoio di salmoni in cui si può mangiare il “fiske buffet”, a volontà: sapevatelo. Ah, anche Stauning sorge dove un tempo c’era un mattatoio: che la segale dia il meglio in luoghi intrisi di memorie di carcasse bovine sapientemente porzionate? Qui abbiamo un rye di 3 anni invecchiato in un barile ex rum del Belize. C: rame brillante. N: spicca per delicatezza, quasi per timidezza. Il rye si sente, ma è molto fine. Frutta con nocciolo (albicocca e pesca), fiori di lilium piuttosto decadenti, olio essenziale di agrumi. Frutta processata, non succo né polpa fresca. Un filo di mobilificio e un tocco erbaceo, ma nel complesso un naso posato, dove vaniglia e mou frenano ogni corsa in avanti delle eventuali note off. P: continua a comportarsi come un damerino, ma la segale qui è pimpante, con arancia piccante e la solita sventagliata di legno. Però qui emerge una dolcezza fruttata diversa, probabilmente sotto la spinta degli esteri del ru. Caramella geleé all’arancia e un che di caraway. F: dal dolce al dolciastro, cioccolato al latte industriale che vira alle spezie amare del legno. Lungo. Imprevedibile nel suo andamento, sembra una rapsodia improvvisata: dalla timidezza alle spezie estroverse come gli pare e piace. Si capisce che non è un classico rye americano, ma che c’è una compostezza europea che trattiene gli eccessi. Singolare la nota amara ed erbacea. Interessante: 82/100.

Kentucky Peerless rye 3 yo batch #1 (2020, That boutique-y rye company, 49.1%)
Se il Kentucky è il cuore del bourbon, Louisville è il ventricolo. La Kentucky Peerless Distilling, fondata negli anni ’80 del XIX secolo, è un pezzo di storia americana e qui nel bicchiere abbiamo un rye di 3 anni. C: rame scuro. N: abbastanza fine e centrato sul cereale, finalmente la segale ha tutto il palcoscenico solo per sé. Si fanno strada poi due diverse sensazioni, che si intrecciano: da una parte una nota di pasticceria, con pera e acqua di rose; dall’altra un tocco altrettanto dolce, ma più caseario e grasso, come tartine imburrate al salmone. Pepe rosa e un inevitabile senso di zucchero e canditi, dato dalla gioventù. P: pieno e morbido, questo è un rye puro. Piccante, caramello, banana cotta e toast con la cannella. Anzi, a dire il vero ricorda il trdlo, quel dolce ceco e ungherese con pasta cotta su appositi spiedi e poi zuccherata e spolverata di spezie. Oleoso, piacevole, erbaceo e abbastanza secco. F: pulito e secco, anche se con una bella sensazione di corpo grasso (burro di arachidi). Spunta un che di finocchietto. Molto rotondo, probabilmente il più beverino e accessibile della batteria. Non pensate però a un piacione stucchevole: il palato secco e pulito rende tutto più diretto e quasi lo avvicina a uno Scotch. Ben fatto: 85/100.

Millstone rye 3 yo batch #4 (2020, That boutique-y rye company, 55%)
Millstone è il marchio di whisky prodotto dalla distilleria olandese Zuidam. La quale produce ottimi single malt e diversi rye di grande livello. Prima di analizzare quello imbottigliato da Boutique-y, piccolo spazio divulgativo: la distilleria sorge a Baarle-Nassau, un paesino che vanta il poco invidiabile record di essere l’exclave più incasinata del mondo, con 22 porzioni di territorio che appartengono al vicino Belgio. Contenti loro… C: aranciato. N: il primo impatto è così così, molto acuminato e super acido, con pompelmo rosa all’ennesima potenza. Bucce di mela renetta e arancia, in generale la sensazione è molto agrumata. Legno di cedro, cannella e cioccolato e quel tocco di distillato che ricorda la grappa. P: pieno e oleoso, liquirizia piccante e sciroppo d’acero. Segale, eccoti qui anche stavolta. Liquirizia ripiena. Di nuovo il distillato, forse un po’ troppo ruvido. F: ancora buccia di pompelmo rosa, cannella e spezie. Amarino. Senza dubbio il più agrumato della truppa, acido e molto diretto. Il palato è pieno, ma con qualche difetto di grazia, l’alcol spara e la sterzata sull’amaro è rivedibile. In generale, non entusiasma e appare un po’ maleducato: 79/100.

Tennessee rye 4 yo batch #3 (2020, That boutique-y rye company, 45%)
Indovinello: che distilleria del Tennessee utilizza il sistema di filtrazione attraverso carboni di legno d’acero e chiama whisky senza “e” il suo distillato? Se anche voi non ne avete idea, c’è qualche nerd che in America lo sa e che può darvi una mano: George Dickel. Noi riportiamo fedelmente le fonti e non ci assumiamo responsabilità. Con i suoi 4 anni, è il più vecchio della cumpa. La relatività della maturità… C: aranciato. N: il Polase! C’è qualcosa di pesca e arancia in versione super-chimica, come i farmaci in polvere. Anche papaya e gelato alla fragola, melone maturo. Riassumendo, un naso eccezionalmente fruttato, anche se non in un senso fresco. Banana, anche. E una dimensione balsamica acuta, tipo pasticche Halls. P: ancora frutta (pesca, mela, prugna), poi la segale prende in mano il volante e schiaccia sull’acceleratore delle spezie. Un bel kick intenso. Burro e crema alla pesca. F: legno tostato, caramello e nocciolo di pesca. Il tempo gli ha consentito di dotarsi di un minimo di struttura supplementare, il che rende l’esperienza più piena. Però c’è qualcosa nelle note fruttate che non convince in pieno. Forse un senso di dolciastro squadernato senza troppa eleganza. 82/100.

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