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More Càrn Mòr: Williamson 10 yo (2010/2021, 47.5%) vs Ardmore 9 yo (2011/2020, 47.5%)

Càrn Mòr è l’etichetta di release “rigorosamente limitate” di proprietà della famiglia Morrison, già socia dei Mackay e ora tornata orgogliosamente a lavorare in solitaria. I Morrison, che in passato sono stati proprietari di Bowmore – non esattamente una bazzecola – hanno solida nomea di imbottigliatori di ottima qualità e vengono importati in Italia dalla Lost dram selection di Fabio Ermoli fin dall’età del bronzo. Recentemente, Càrn Mòr ha totalmente rivoluzionato e svecchiato il packaging, sostituendo l’iconica etichetta stretta e verticalissima con un look più moderno che ci piace assai. Oggi confrontiamo due single malt quasi coetanei, entrambi torbati in sherry.

Williamson 10 yo (2010/2020, Càrn Mòr, 47.5%)

Un Laphroaig sotto mentite spoglie invecchiato in sherry hogsheads, 1.052 bottiglie l’outturn. Il colore è un oro pieno. N. una goccia ci cade sulle dita e ci fa gridare “wurstel!”. Gioia pura, con anche del rosmarino accanto. La sensazione non cambia una volta versato nel bicchiere, dove spunta una punta di senape acetica. Diciamo mela e limone per archiviare la pratica burocratica della frutta, ma sinceramente la frutta è l’ultima cosa che mangeremmo con questo whisky. Il quale è assai saporito, marittimo, pungente, sapido, porcoso. Anche canfora, che è parente erbacea del rosmarino che giaceva laido sul wurstel nel primo naso ed è forse l’unico indizio dello stile Laphroaig. La torba è cenere di sigaro ed erbe aromatiche bruciate sulla griglia mentre stai curando il sopracitato wurstel. Non cade mai nel peccato mortale della pacchianeria, rimanendo sempre affilato. Un filo di fiori, forse. P. la prima cosa è una torba possente anche se non esplosiva, molto bruciata e anche oleosa: falò, liquirizia pura con foglie di menta bruciata, creosoto. Medicinale, finalmente. Sale a pacchi (decidete voi se grosso o fino). Però accanto si sviluppa una dolcezza colante, tipo sciroppo o caramello, in una equilibrata dicotomia. Qui lo sherry è decisamente più evidente, con anche cioccolato al latte pastoso, tipo Lindt. La frutta è uvetta bruciata, un’idea di ananas grigliato. F. molto lungo, fra cioccolato dolce, torba bruciata e un’oleosità infinita che ricorda del pesce grasso alla griglia.
Più assaggiamo Williamson, più rivalutiamo il frutto degli alambicchi di Laphroaig e vituperiamo il management per gli OB. Questo è un distillato eccezionale, che trova una perfetta sintonia con lo sherry, assumendo quei tratti carnosi e grassi che così bene si sposano con il dna medicinale ed erbaceo della casa. La gradazione limitata, se da un lato penalizza la potenza dell’attacco in bocca, dall’altra lo rende semplicemente perfetto per il secondo, terzo e quarto dram. Il finale è qualcosa di epico. 89/100. Anche se uno di noi è impazzito totalmente per questo whisky e voleva dargli 101.

Ardmore 9 yo (2011/2020, Càrn Mòr, 47.5%)

Ben 1.142 bottiglie provenienti da un vatting: un butt di Pedro Ximenez e un hogshead di Oloroso. Il colore è un’ambra carica. N. piuttosto timido, la torba non fa capolino perché comanda l’arancia. Arancia caramellata, liquorosa o candita, non succosa e acida. C’è un tocco di vinosità “lieve” e ora a pensarci bene c’è anche la torba, non sparata ma polverosa. Le classiche note sherried di frutta rossa, fra uvetta e soprattutto melograno. P. decisamente zuccheroso, tipo alchermes. Pesche al vino. L’alcol si sente un po’ troppo e la torba assume quel tratto molto Ardmore di posacenere in macchina mischiato con del terriccio. Che come immagine fa un po’ senso, ma vi assicuriamo che in bocca è incredibilmente godurioso. Sherry e torba insieme ci fanno pensare ad arachidi tostate e lo confermiamo anche qui. In generale un palato assai dolce, con cioccolato al latte e caramello e di nuovo frutti rossi in confettura. Speziette (cannella) in crescendo. F. lungo, dolce e molto coerente: sherry sticky e sciropposo, braci spente. Caramello bruciato, marmellata di ribes rossi.
Non un whisky cattivo, anzi, è di una bevibilità estrema. E in più ha dalla sua il rapporto qualità-prezzo da paura. Resta un senso di incompiutezza, però. Non un torbatone, non uno sherrone, ma un dolcione. Che non è il nostro genere, ma di sicuro ci lascia soddisfatti. Il PX fa il suo dovere e il lato torbato, anche se non preponderante, riesce a tenere in equilibrio l’esperienza. Suvvia, non gli si può dare meno di 86/100.

Sottofondo musicale consigliato: Temple of the dog – Hunger strike

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