
Per fare un tavolo ci vuole il legno, per fare il legno ci vuole l’albero, per fare l’albero ci vuole un fiore, e per fare un fiore serve un fiorista. Che forse non finiva esattamente così, ma mentre un pullmino porta un nostro inviato verso la tenuta Il Leprone di Cerro Maggiore, chissà perché la filastrocca continua a risuonarci nella mente. Siamo in missione per conto di Dio, come dicevano i Blues Brothers, oppure per conto di Bill Lumsden, che è l’entità dell’empireo dello Scotch che più somiglia a una divinità. Lui ha creato un nuovo Glenmorangie sperimentale e noi, come devoti fedeli, rispondiamo alla chiamata e presenziamo volentieri alla presentazione.
D’altronde, il “direttore artistico” delle distillerie del gruppo LVMH (Glenmorangie e Ardbeg) da anni sbatte periodicamente sul mercato delle genialate che confinano spesso con la follia. A lui si deve la sempre più imitata tendenza a creare delle “linee parallele” al core range, serie di edizioni limitate che da un lato fanno gola ai collezionisti e dall’altro esplorano le infinite possibilità produttive del whisky. Quindi, quando un uccellino ci ha detto che era in arrivo il terzo episodio della serie “narrativa” di “A tale of…”, non potevamo che fiondarci ad assaggiarlo.

Dopo ‘A tale of cake’ del 2020, in cui si cercava di riprodurre la sensazione di una torta liquida grazie al finish in Tokaji ungherese, e dopo ‘A tale of winter’ del 2021, in cui il Marsala siciliano creava un senso di serata invernale, stavolta tocca a ‘A tale of the forest’, creato per riprodurre “una passeggiata nei boschi delle Highlands”. E dunque, per dovere di filologia, eccoci tutti in campagna, fra querce e profumi d’autunno, in una tenuta di caccia a bere whisky, tracannare cocktail e mangiare selvaggina. Ci sono giovedì pomeriggio decisamente più noiosi e spiacevoli.
Ora, dividiamo in due il racconto della giornata, iniziando dal whisky, che siamo pur sempre un blog di nerd. Schifosamente propensi all’epicureismo, ma sempre nerd. Dunque, la peculiarità di questa terza release della serie è il fatto che la sperimentazione stavolta non è alla fine, nel finish appunto, ma all’inizio, ovvero nella fase di essicazione del malto. Infatti, nel kiln vengono bruciate – oltre a una piccola parte di torba – anche botaniche provenienti dai boschi scozzesi. Nella fattispecie menta, aghi di pino, prezzemolo, erica, betulla e ginepro. Pare fosse un’antica pratica di produzione. Sia vero o meno, sicuramente è praticamente un unicum oggi. L’invecchiamento avviene in barili ex bourbon e la gradazione è di 46%. Non c’è indicazione di età.
Esaurita la parte tecnica, si passa all’esperienza. Che come sempre succede con gli eventi di LVMH, di cui Flavia Di Giustino è mirabile marketing manager per il portafoglio spiriti, è una goduria. Accoglienza con un eccellente highball di Glenmorangie ATOTF (diamogli un acronimo come se fosse un trapper, suvvia) e sciroppo di pino mugo; mangiarini vari tra cui fichi avvolti nella pancetta, polentine con fonduta, gnocchi di zucca e caprino, cubetti di focaccia con carpaccio e porcini; poi, grande spiegone del whisky by Flavia; a seguire, pranzo luculliano con tre portate e tre cocktail. Nell’ordine: raviolo arrosto ripieno di taleggio, ragù di lepre e dragoncello con “Into the forest” (Glenmo ATOTF, succo di limone e arancia, marmellata di arancia amara, sciroppo aghi di pino e ginepro: buono, ma poteva esserci qualsiasi whisky); controfiletto di cervo al carbone vegetale, riduzione di mirtilli, pecorino e pere arrosto con “Sweet but wild” (Glenmo ATOT, succo di limone, sciroppo di mirtilli, menta: un po’ fuori posto, molto meglio accompagnare lo strepitoso cervo col whisky liscio); crostata di noci, whisky, salsa al butterscotch salato e crema di mascarpone con “Hot forest” (Glenmo ATOTF, té nero ai frutti di bosco infuso al ginepro, limone e miele: una coccola splendida, che ha accompagnato anche la castagnata finale).
Insomma, se fossimo Alessandro Borghese a “4 ristoranti” diremmo senz’altro che: alla cucina abbiamo dato 9, alla location abbiamo dato 9, alla compagnia abbiamo dato 8 (solo perché c’era Zuc che abbassava il livello), ai drink abbiamo dato 7 e al whisky abbiamo dato… Beh, ora facciamo la recensione e vediamo cosa gli abbiamo dato, eh.

C. paglierino carico
N. siamo in territori un po’ inconsueti, si capisce subito, come quando arrivi in un Paese con un alfabeto strambo e non capisci niente dei cartelli e cercando la farmacia finisci al sexy shop (ah, non vi è mai successo?). Il naso si apre con un accenno terroso-muschiato, come di cacao in polvere e té nero, da cui però si alza subito un’aria balsamica: pino, eucalipto, menta essiccata. Non pensatelo un “gisky”, aberrante ircocervo a metà fra gin e whisky: qui le botaniche sono delicate, come vaporizzate da un nebulizzatore di fumo lieve. E in effetti il fumino c’è, e anche piuttosto evidente, molto raro in un Glenmorangie. Ginepro, ma anche altre spezie, qualcosa della cassia, genziana, bucce di arancia amara con cannella e chiodi di garofano. Il tutto si innesta su una maltosità solida di base che ricorda i biscotti di Natale, ma impastati con miele d’erica, aromatico. Un naso multisfaccettato davvero.
P. se possibile il tocco bruciatino è ancor più evidente: caldarroste in piazza del Duomo a Milano, che vengon via a poco, 500 euro/kg come il caviale Beluga. C’è ancora una spessa coltre di dolcezza, di miele, caramello e pastafrolla alla cannella. Ma c’è anche un certo nervosismo da gioventù che dona frizzantezza a scapito dell’eleganza: mandarini, pepe, zenzero, frutti di bosco e un pochino di alcol. Nel secondo palato l’anima più “botanica” sale in cattedra e dal dolce si passa al piacevolmente amarognolo, con ancora arance amare, cardamomo e liquirizia. E ancora quelle radici varie ed eventuali che si possono trovare da un erborista, che mentre vi cerca le pastiglie Valda voi gli divorate.
F. non lunghissimo, più pacificato con se stesso rispetto al palato. Zenzero, fumino, zucchero di canna bruciato. Anice stellato affumicato.
Dei tre “Tales” sicuramente il più sorprendente, inatteso. La via scelta è decisamente nuova, la complessità data dall’inconsueta essicazione con botaniche bruciate è davvero particolare. Ne beneficia soprattutto il naso, che continua a cambiare e a “sfuggire” a una descrizione analitica. Il palato è molto ludico, ti fa divertire anche a costo di qualche difettuccio di gioventù soprattutto sull’integrazione dell’alcol. Per questo lo premiamo con un convinto 86/100, anche se già ci sembra di sentire i criticoni mugugnare…
Sottofondo musicale consigliato: The Cure – A forest
2 thoughts on “Glenmorangie ‘A tale of the forest’ (2022, OB, 46%)”
[…] appunto qualcosa. Un’idea di dessert, un ricordo di Natale, una sensazione di foresta. Oppure una versione del tutto originale di Tokyo.Ecco perché siamo alla Bentoteca in zona Porta […]
[…] Glenmorangie ‘A tale of the forest’ (2022, OB, 46%) – 86/100 […]