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Botti da orbi: thy, c’è del whisky in danimarca

Lo assaggiamo o no, questo whisky danese? C’è da fidarsi, teschio delle mie brame?

Bere, o non bere, questo è il dilemma:
se sia più nobile nella sete soffrire
colpi d’arsura e dardi d’atroce sobrietà
o versar dram contro un mare d’affanni
e, opponendosi, por loro fine? Tracannare, dormire…

Amleto, il principe shakespeariano, se ne stava a palleggiare un teschio come un pallone da basket nel suo castello di Kronborg, a Helsingør. Qualche secolo più tardi, Helsingør è diventata un luna park alcolico per svedesi assetati e bramosi di qualsiasi cosa abbia una gradazione superiore al 2% e un prezzo inferiore ai reni sul mercato nero degli organi. Cose che capitano, se il tuo Paese così carino e così socialdemocratico consente di vendere alcolici solo a negozi con licenza e impone tassazioni draconiane. Sicché, i biondi connazionali di Ibrahimovic prendono il traghetto, arrivano a Helsingør con i trolley vuoti e se ne vanno facendo tintinnare le bottiglie.

La distilleria Thy, invece, è un luna park alcolico agli antipodi della Danimarca, costa occidentale dello Jutland, a pochi chilometri dal parco naturale di Stenbjerg, dove non ci saranno le cime mozzafiato del Gran Paradiso, né le scogliere di Moher, ma ci sono delle bellissime dune naturali che guardano il Mare del Nord. Ecco, nell’entroterra si trova Gyrup, la tenuta della famiglia Stjernholm su cui vengono coltivati l’orzo e la segale che dal 2010 vengono maltati e distillati in loco.
Prima di tutto, occorre dire che sulle dune ci siamo stati, e abbiamo anche fatto onore al detto per cui la fame ci precede, sbancando il non lontano fiske-buffet all you can eat, ma in distilleria non ancora. Però ne abbiamo letto molto, ci siamo informati e ne sappiamo abbastanza per dire che trattasi di una delle ormai infinite distillerie biologiche che puntano sul terroir. From grain to glass, che in danese si dirà sicuramente con delle vocali strane e difficilmente pronunciabili, dato che – studi di linguistica alla mano – è l’idioma con la curva di apprendimento più ripida in Europa.

Ma resta da capire perché le nostre Botti da orbi siano rotolate ciecamente fin qui, tra torbiere, campi, aringhe affumicate e rune. Semplice: al Milano Whisky Festival (dell’anno scorso!) siamo stati avvicinati dal gentilissimo Guido Poggia di The Barrel Way, che lo importa in Italia insieme ad altri distillati curiosi di cui vi parleremo poi, e ci ha lasciato due campioni. Ora, siccome tra pandemia, guerra, cavallette ed elezioni l’autore di questa umile rubrica è stato un po’ sballottato, i due simpatici samples sono finiti smarriti tra le mascherine FFP2 e i santini di Zelensky. Adesso li abbiamo ritrovati.

Thy No.15 Fjordboen (2017-2018/2021, OB, 49.5%)
Un bellissimo color rame per un single malt invecchiato in botti ex Oloroso e in un solo barile ex Bourbon. 1982 bottiglie. N: sherry moderno ma già strutturato nonostante l’età (3 anni). Arancia caramellata ed erbe aromatiche (timo, origano, fieno greco). La vinosità è netta, ma non stucchevole: albicocche secche, té Earl Grey. C’è anche una nota farmy di fieno umido, quello che si dà alle mucche, e qualcosa che può ricordare un boschetto di betulle. Questo tocco verde è davvero inusuale. Con acqua spunta una nota spiritosa che prima stava quieta sotto le lenzuola sherrose. P: molto coerente con il naso, ma in bocca il binomio tra spiccata dolcezza ed erbaceo è meno convincente. Ci sono ancora caramello, marmellata di arance, mele cotte con zenzero e cannella. E ci sono ancora timo e alloro, a cui si aggiunge una nota più amarognola: cioccolato fondente con l’amarena, aka boero. Anche radici di cassia e peperoncino. Il legno qui è più sgarbato, così come l’alcol che un po’ brucia. Due gocce d’acqua fanno molto bene, danno più cremosità e attenuano certe bizze. F: terroso ed erbaceo (quasi come un gin), legno piccante, caffè amaro e caramello bruciato. Lunghetto e più astringente.
Decisamente unico, mai assaggiato niente di simile. Ma è un whisky fatto e finito, non un Sarchiapone tutto terroir e seghe mentali. Le botti di Oloroso sono molto attive, anche se non particolarmente profonde e scure. Lo sherry dà più che altro dolcezza e corpo e una vinosità che deve piacere. Non il più equilibrato dei whisky, ma di carattere ne ha da vendere. 84/100.


Thy No. 13 Stovt (2017/2020, OB, 51%)
Ancora un single malt di tre anni, da orzo Odyssey. Invecchiamento in barili ex bourbon, Oloroso e Px con finish in botti che hanno contenuto birra stout ‘Limfjordsporter’ della Thisted Brewery. Ma scritta con la V tipo la IVSTITIA sui palazzi di giustizia fascisti. 1825 bottiglie, colore ambrato. N: ancora quel senso pungente di macchia mediterranea e non solo, dal timo all’aneto al ginepro. C’è una nota pungente che – non fraintendete – ricorda la pipì di gatto su un letto di aghi di pino. Più prosaicamente, è il mix di PX e birra stout, probabilmente. Dicevamo del PX, perché è molto dolce, quasi sciroppato al naso: alchermes, amarene sotto spirito e sciroppate, marmellate di frutti rossi e neri. Datteri. Col tempo si fa più sottile e si equilibra, perde gli eccessi acidi e rimane solo una nota di albicocche secche e vino. P: qui le cose si complicano un po’, perché si alza il volume del legno, quello del vino, quello dell’acidità e quello del finish in stout. Le solite erbe e del caffé etiope, per iniziare. Poi vino (il PX, proprio, con quel suo mix di zuccherinità e acidità che sa essere letale). Vinaccioli di uva rossa, bucce di prugna, di nuovo amarene. Poi c’è qualcosa che ricorda le braci, qualcosa più che una semplice tostatura. Di nuovo cacao e caramello. F: la vinosità si quieta e c’è un bel senso di pralina al caffè e all’amarena. Filo di fumo, liquirizia e cardamomo. Lunghissimo.
Insomma, abbiamo capito che i ragazzi di Thy sanno usare bene le botti. Ha una eccellente maturità per i suoi pochi anni e una pienezza di sapori (non sempre elegante, ma efficace) impressionante. Però va detto che certe sbavature dell’alcol e certi eccessi di vinosità rendono la bevuta non agilissima. Ci ha convinto di più il primo, ma è questione di gusti: 83/100.

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