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The HEarach batch #6 (2023, OB, 46%)

Luci soffuse e alcolismo

Ben due di noi hanno tirato tardi l’altra sera al “1930”, lo speakeasy meno segreto di Milano. Lo hanno fatto ovviamente non perché sono due epicurei incalliti dediti ad ogni tipo di libagione, ma per un senso del dovere quasi calvinista, dato che erano invitati al primo “global launch” di un nuovo whisky e si sa, quando la notizia chiama i Facili rispondono “presenti” e allungano il bicchiere.
Nella fattispecie, nel bicchiere c’era il primo single malt prodotto sull’isola di Lewis and Harris, nell’arcipelago delle Ebridi esterne: la patria del tweed, per capirci. Qui, nel 2015, Anderson “Burr” Bakewell ha aperto la Isle of Harris distillery, che subito ha iniziato a produrre un eccellente gin, tra i nostri preferiti per i Martini cocktail. Questione di business, ma anche qualcosa di più: dato che la popolazione dell’isola si è dimezzata negli ultimi 50 anni, l’idea era anche creare qualcosa che permettesse alle nuove generazioni di trovare un impiego e di rimanere a vivere lì. Un’operazione di salvataggio della comunità.

Rob Roy in serie al 1930

Come spesso succede, il gin è un diversivo per creare attenzione e iniziare a rientrare dell’investimento in attesa che il whisky giunga a maturazione, ma l’obiettivo primario della produzione è sempre il single malt. Il microclima di quelle che vengono chiamate “i Caraibi di Scozia” (che se può essere vero per le spiagge bianche, si sospetta lo sia molto meno per il clima…) è particolare: inverni relativamente caldi ed estati fredde, con l’acqua più morbida di Scozia: “Softest water, hardest rock”, ci spiega Peter Kwasniewski, l’export manager, sottolineando anche il suolo roccioso del terroir. Insomma, la filosofia di produzione è chiara: un whisky fatto dalla gente del posto con tempi molto “slow”.

Mirko Turconi e Peter Kwasniewski

Già, ma che caratteristiche tecniche sfoggia il primo whisky dell’isola fin dalle Clearances del 1840? Perché non dimentichiamo che qui va bene lo storytelling e la magia, ma c’è gente che vuole “nerdeggiare” alla grande. E dunque si nerdeggi: gli alambicchi pot still in rame sono italiani (Frilli, da 7mila e 5mila litri), la torbatura è lieve (12/14 ppm); il taglio delle teste e delle code è fatto empiricamente “a naso”, senza elettronica né informatica; finora sono state rilasciate 13mila bottiglie divise in 8 batch e noi si assaggia il batch 6; la composizione dei barili recita 64% ex bourbon Buffalo Trace, 21% ex bourbon Heaven Hill, 11% ex Oloroso e 4% ex sherry Fino; l’invecchiamento è fra i 5 e gli 8 anni; la bottiglia, su cui si vedono intrecciate delle pieghe di vetro come nella trama del tweed, è disegnata da Stranger&Stranger, e riporta sul fondo il motto “esse quam videri” (essere più che sembrare); il packaging è molto elaborato, con le facce di alcuni dei 50 dipendenti, una canzone o poesia e un box che richiama la pietra della costa.

Ora però si beva. Ma prima un ringraziamento a Fine Spirits che lo importa. E una precisazione: si pronuncia “Eroch”, con quella “ch” che sembra tanto il rantolo di un malato di tisi. Il colore è oro chiaro.

N: i Caraibi della Scozia è un termine un po’ forte, però di sicuro qui c’è dell’ananas. Acerbo, ma sempre ananas è. E siccome è in un whisky e non sulla pizza, va tutto bene. Fresco, con del limone e un po’ di china. C’è un’aria frizzantina di gin tonic, quasi. Molto minerale, con acqua di mare, sali, gesso. Scogliere bianche di Dover. Il tutto in un contesto dolce e agrumato: succo di pompelmo, mele Granny Smith. Qualcosa di polveroso come il Polase o le Pastiglie Leone, e sul fondo, molto delicato, un fumino leggero, che ricorda più un acciarino, della pietra focaia. L’altissimo Andrea Serati di Monkey Whisky Club che è nostro compagno di recensioni e bisbocce stasera chiosa con una parole che mette tutti d’accordo: frizzanza! Il naso è davvero piacevole.

P: e lo è anche il palato. Attacca pulito, forse un filo alcolico, cosa che si spiega con la giovinezza che si passa tuttavia (c’è gente che ha fatto il classico e vuole ricordarlo). Invita subito alla beva, c’è una dimensione sapida importante, una mineralità citrica che fa salivare. La triade sale-pompelmo-gesso è ancora qui tra noi. Meno dolce rispetto al naso, conferma la frutta acidina, a cui si somma un kiwi verde e una mandorla acerba e vanigliata. La torba però si sente di più, soprattutto nel retrogusto: come l’airone, è cinerino. Quel che piace è soprattutto l’ottima integrazione delle note minerali e costiere, che fanno dire a Corrado una cosa forte: è parente di certi Bowmore, di cui però non ha la frutta esplosiva. Qui la tensione isolana c’è, ma non accompagnata dalla stessa grandezza.

F: abbastanza breve, sal y limon y alegria. Che vuol dire: pulito, un accenno di torbina e un senso di post-Schweppes. Qualcuno consegna ai posteri una notazione curiosa ma molto vera: nel finale, in fondo in fondo al palato, spunta una nota di pesca. Sarà mica quella dell’Esselunga che la mamma manda al papà?

Un bel prodotto, fatto bene, con attenzione e grande rispetto sia delle caratteristiche del luogo, sia del distillato. Niente pasticci con il legno, nessuna voglia di colpire la massa con sapori violenti e volgari. Molto bevibile, il che è sicuramente un plus. Se proprio dobbiamo trovargli un difetto, l’alcol bruciacchia un po’ e rimane nel finale a pizzicare. Siamo indecisi sul voto, ma alla fine diamo 85/100.

Sottofondo musicale consigliato: British Sea Power – Ecstatic vibrations, totally transcendent

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