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botti da orbi: una gita TRA BRIANZA E COGNAC

Quando l’uomo curioso dei distillati incontra l’uomo che gli versa dei distillati nuovi, l’uomo curioso è destinato ad assaggiare molte cose.
Non c’è bisogno di essere Clint Eastwood, né di bazzicare la stazione di Tucumcari dei film di Sergio Leone. Basta essere l’estensore di questa rubrichetta e finire in compagnia dell’inimitabile notaio De Rosa ad una cena con pairing di cognac organizzata da Angelo Corbetta (foto qui a destra) dell’Harp Pub di Milano. Solo che stavolta il “saloon” non è stato il suo storico e glorioso pub di Città Studi, ma l’Osteria Punto e a capo di Cernusco Lombardone, nella Brianza lecchese. Che come tutti sanno, se avesse dei vigneti coltivati a Ugni Blanc sarebbe una piccola Charente.

Così è capitato che in una ventina ci si trovasse tutti a tavola, tra foie gras e risotto alle fragole, filetto alla Voronoff e formaggi erborinati, ad abbinare piatti di ispirazione anni ’80 con distillati francesi. Il “pusher” di eau de vie, per l’occasione, è stato Davide Romano, che la comunità del whisky ha imparato a conoscere per gli imbottigliamenti di Valinch & Mallet e la certosina competenza tecnica per tutto quel che riguarda alambicchi e legni. Ora, siccome la vita è troppo corta per appassionarsi a una sola bevanda spiritosa, Davide da un paio d’anni ha iniziato a bazzicare Cognac e Armagnac, ha studiato come un secchione ossessivo compulsivo e oggi è importatore degli imbottigliamenti del selezionatore belga “Malternative”, nonché a sua volta imbottigliatore di distillati di vino.

Ma andiamo con ordine, e quindi iniziamo con il Cognac in abbinamento all’antipasto, una terrina di fegato di vitello. Ah, mettiamo le mani avanti: se già sul whisky i nostri giudizi sono totalmente sindacabili, figuriamoci per quanto riguarda il Cognac, materia in cui siamo massimamente ignoranti. Ci permettiamo di dare dei voti solo per gioco, e perché siamo in Italia, dove fare gli arbitri a capocchia è sport nazionale. Ergo, prendeteli con le pinze e le panze.

Cognac #28 “Le vigilant” (1995/2023, Malternative, 40.86%)
Il distillatore è Tiffon, la zona di produzione è la Grande Champagne, a torto o a ragione considerata la zona d’elezione del Cognac. 480 le bottiglie prodotte. C: ambra chiara. N: si apre dolce, con albicocca secca e pesche, mele cotte e cannella. C’è quasi una nota mentolata che ricorda il dentifricio! Cremoso, balsamo per i capelli, mela verde. Poi, una nota che ci ricorda i confetti al cioccolato bianco di certi matrimoni finiti in trenini e hangover. Fresco e cangiante. P: più asciutto, con molta frutta secca (mandorla, cocco tostato) e noccioli di amarena. Amarena anche. Mallo di noce. F: mandorla, arancia amara, ancora noccioli, un filo astringente.
Pronti, via, ed ecco già un cognac complicato, se paragonato con i giovincelli ufficiali. Il naso è abbastanza inconsueto, con una vispa dolcezza che compare e scompare, intessuta alle note del legno e della frutta secca. Apertura intrigante: 86/100.

Cognac #30 “La découverte” (1977/2024, Malternative, 51.74%)
Piccolo disclaimer: il vintage nel Cognac si può mettere solo se la botte viene piombata per tutto il tempo della maturazione. Il che rende impossibile il controllo e il conseguente élevage, cioè l’arte di spostare le botti tra le zone secche e umide della cantina al fine di migliorare il distillato. Per ovviare a questa regoletta, si sceglie spesso di indicare il numero del lotto con il numero dell’anno di distillazione. Questo insomma è il “lot 77”, che accompagna un risotto alle fragole e zola sfumato con lo stesso Cognac. Distillato a Foussignac dal padre dell’attuale titolare della distilleria Marie Foucher, che avrebbe voluto fare l’esploratrice (ecco spiegato il nome dell’imbottigliamento). La zona è il Fins Bois. C: mogano brillante. N: qui siamo su toni più scuri rispetto al primo, con prugne, cioccolato al latte, anzi diremmo ganache al cioccolato, perché c’è della panna qui. Pieno, con un che di noci brasiliane e chinotto. Col tempo emerge quasi un senso di candela che si liquefà, con un accenno di melissa. P: godurioso e buonissimo, con un corpo molto pieno e carico. Un trionfo di frutta (papaya, mango, tantissima pesca) e una sorprendente acidità dopo 50 anni di invecchiamento. Il secondo palato è più composito, con potpourri di fiori secchi e sandalo. Anche tabacco aromatico e cera d’api. F: lungo, con cacao, prugne secche e un guizzo minerale.
Eccellente davvero, soprattutto per chi proviene dai territori sensoriali del whisky. Tante cose, tutte al punto giusto. Una grande tensione, una frutta evoluta, un cioccolato multidimensionale e qualche nota che non diremmo “off”, ma ci limitiamo a definire sorprendente e deliziosa. 92/100 senza dubbi.

Laurichesse “Le Chai de mon Père Fut 104” (circa 1970/2023, OB, 47.4%)
Per l’abbinamento con il filetto alla Voronoff arriva un Cognac dalla Grande Champagne, imbottigliato a grado pieno e proveniente dalla riserva personale di Guy, storico proprietario della maison, fornitrice storica di Hennessy. La serie di imbottigliamenti da questi barili scoperti nel 2018 prende il nome di “Hommage”. In particolare, di qui parliamo di un Cognac di oltre 50 anni. 392 bottiglie. C: mogano. N: come ha anticipato Davide, sembra effettivamente un vecchio whisky invecchiato in sherry, con tanto di Old Bottle Effect. La frutta tropicale è matura, evoluta e quasi cerosa. Ricchissimo, mette in mostra tutta una teoria di mobilio antico, frutta rossa (uva fragola senza fine). Quel senso di panettone moderno con i canditi di papaya e mango. E la crosta un po’ bruciacchiata. P: più asciutto, molto compatto. All’uva fragola si accostano ciliegia, pepe rosa e parecchie spezie del legno. Chiodi di garofano (Corrado suggerisce il vin brulè), chicchi di caffè. Burroso e oleoso, ma anche floreale. Acqua di rose e un’acidità da arancia rossa. F: ancora arancia rossa, legno speziato con una velata astringenza, mocaccino. E un sentore di cantina umida, quasi di muffa nobile, come nel Tokaji.
Robusto, masticabile, estremamente pieno eppure con un’acidità scattante sorprendente. Un Cognac più muscolare dei gioiellini eterei che i bevitori di whisky tendono a giudicare troppo delicati. Qui c’è grande struttura, e anche una profondità che non va a scapito della bevibilità. 90/100.

Piccolo intermezzo senza voto: con il tris di formaggi erborinati arriva un Pineau des Charentes di 25 anni di Tercinier. Il Pineau è – come spiega Davide – un “prodotto intermedio”. Di fatto, è mosto d’uva a cui viene aggiunto distillato di vino non invecchiato, Cognac bianco insomma. Un po’ come i vini fortificati. Nella fattispecie, questo Pineau è un’esperienza quasi mistica, il cui olfatto è dominato da note oscure di funghi porcini secchi e tartufo, che virano verso il tortino di cioccolato. Al palato è acido, dolce e piacevole, più sull’uva passa e l’albicocca, senza più le deviazioni umami del naso. Finale sticky, tra cola e limone. Ma non è un distillato, quindi non lo votiamo.

Cognac Borderies Héritage René-Rivière “Lot 19.11” (1911/2024, Malternative for Valinch & Mallet, 40.1%)
Ebbene sì, con il dessert si è bevuto un Cognac di 113 anni della zona dei Borderies, in esclusiva per Italia e Canada. 42 bottiglie, di cui 18 nel nostro Paese. Si tratta di uno di quei distillati che riposano nel cosiddetto “Paradis”, una stanza senza finestre in cui molte maison fanno invecchiare in damigiane di vetro i Cognac più vetusti, una volta svuotate le botti. Questo, per esempio, ha passato 81 anni in legno (fino al 1992), poi è rimasto in damigiana. Il vetro è materiale inerte, ma – l’OBE ce lo insegna – l’evoluzione continua anche lì, seppur diversamente. C: aranciato. N: fa quasi rabbrividire, un po’ perché la mente ci dice che stiamo annusando qualcosa di ultrasecolare, un po’ perché l’eleganza è infinita. I bouquet di un matrimonio di classe si mischiano a pesche nettarine e mandarini, il legno cuce insieme un arazzo di sensazioni, che vanno dai litches al melone fino alla pasta burrosa del pandoro e a qualcosa che ricorda le olive nere, magia del legno. P: di tutti i Cognac assaggiati stasera, è l’unico che mostra un po’ la corda dal punto di vista della vivacità di sorso. E ci mancherebbe, considerando che l’età. La sensazione – corroborata da quella gradazione borderline di 40.1% – è che sia stato “preso per i capelli”. Insomma, è un po’ seduto in poltrona. Tabacco, di quelli floreali, noci pecan, miele di castagno poco dolce. La parte legnosa regala suggestioni di liquirizia e té nero, con una piccantezza delicata di zenzero. E ancora di nuovo sigaro Cohiba non ancora acceso, chinotto, fava di cacao… F: amaricante, bucce di chinotto, prugne secche e una lunga scia di legno.
Difficilissimo dare un voto, è uno di quei casi in cui con il cuore si pensa a un numero e con la fredda ragione un altro. Proviamo a mediare: il naso è divino, il palato paga il dovuto dazio al tempo. La matematica dice 89/100, l’emozione 101.

Tercinier “Lot 74” (1974/2024, Valinch & Mallet, 50.9%)
Chiusura col botto fuori programma, con il nuovo Cognac imbottigliato con etichetta V&M che sta arrivando sugli scaffali proprio in questi giorni. Siamo nella regione del Fins Bois e il grado è altino. Disclaimer: è in bottiglia da poche settimane, quindi le note possono risentirne. C: ambrato. N: il più citrico fra tutti, con kumquat e lemongrass. Ma c’è molto di più, solo bisogna un attimo mettere ordine nelle sensazioni: c’è innanzitutto qualcosa di pungente, come buccia di albicocca. Poi una nota che non era così evidente negli altri Cognac, ovvero il rancio: grasso di prosciutto Patanegra bello giallo e ossidato. Un ricordo di fumo di candela e perfino un accenno marino. P: ritroviamo la dolcezza dei litches, la gelatina alla rosa, l’uva passa e una buccia di mela rossa. L’alcol è ancora un po’ troppo a testa alta, serve tempo per domare anche l’influsso del legno. F: lungo, di nuovo agrumato, con cedro, zenzero, roiboos. Niente voto, ripassiamo quando sarà sistemato in bottiglia, oggi sarebbe ingiusto. Comunque promette benissimo, tra gli assaggi di stasera è forse uno dei più intensi.

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