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Lagavulin 16 yo (anni ’90, OB, 43%)

Il momento è solenne, quasi catartico. Recensiamo un’antica versione di uno dei single malt più amati al mondo, un whisky che in Italia – ma anche in Francia, non per caso Jean-Claude Izzo lo fa bere al protagonista della sua trilogia di romanzi di Marsiglia, il commissario Fabio Montale – è quasi mitologico: il Lagavulin 16 anni.
Ora, il Laga 16 è stato amico di tante serate universitarie, quando si aveva qualche deca in più da investire in “qualcosa di buono”. Poi è stato compagno di tante cene in cui ci si atteggiava a intenditori, perché per anni è stata la bottiglia dal più straordinario rapporto qualità/prezzo dell’intera grande distribuzione in Italia. E ora è comunque un porto sicuro, nel senso che anche nell’ultima pizzeria dalle tristi pareti color malattia una boccia di Laga è facile che ci sia. E quindi ti salva il dopocena.
Ad ogni modo, qui beviamo una versione in bottiglia da 75cl proveniente direttamente dagli anni ’90 di “Beverly Hills 90210”. Inserito nel 1988 nella serie “Classic Malts” di Diageo come esponente dei malti di Islay, oggi è un whisky piuttosto diverso da allora. Vediamo come. Il colore è un ambrato chiaro.

N: dirty dirty dirty! Una puzza di peccati e formaggio, stivali bagnati e pensieri laidi si deposita nelle nostre narici. Davvero impetuoso questo senso di grasso, ricorda certi Ledaig, o certi Glenturret torbati in sherry. Grasso di porco levigato, irrancidito, da cui si sprigiona anche una parte balsamica, come di balsamo tigre e aghi di pino intinti nel grasso di foca per gli scarponi. C’è una spessa coltre di unto, impastato a caldarroste, grigliata di calamari sulla piastra. La torba è attutita dal tempo, come avvolta in carta oleata da salumiere. Di frutta ce n’è, e oltre all’agrume (arancia) qui si va quasi sulla pesca, su frutti cerosi e più dolci e vanigliati, anche se ormai irriconoscibili. L’Old Bottle Effect ha cambiato tutto. E la puzzetta sulfurea con tendenze balsamiche ora diventa profumo d’autunno in amore…

P: per aver passato un trentennio abbondante in bottiglia e per essere a 43%, è sorprendentemente impattante. Sia dal punto di vista dell’alcol, sia della torba, che è ancora avvolgente e lunghissima. Si apre dolce, con una caramella fondente alla pesca, poi arrivano in sequenza una cenere di carbonella asfaltante (qualcosa di chimico, di creosoto) e una speziatura di pepe bianco e zenzero in polvere. Rimane dolce, miele di castagno con lardo affumicato, tantissimo té Lapsang Souchong e anche té verde, un filo allappante. Chinotto e arance amare caramellate. Lo sherry si percepisce soprattutto nel secondo palato, che si asciuga pian piano.

F: menta bruciata, sale e arancia bardata di bacon. Lungo e oleoso, e anche un po’ maleducato.

Due cose ci vengono in mente. La prima è che l’influenza delle botti di sherry ci sembra meno potente rispetto agli imbottigliamenti attuali. La seconda è che l’olfatto così oleoso e “off” è completamente inaspettato. Il tempo gli ha regalato delle evoluzioni laocoontiche nei territori degli olii e dei grassi, attenuando alcune vibrazioni e cambiando la natura delle note fruttate. Al contempo, la forza tipica del Laga è diventata più severa e strutturata. Sarà il campione ad averlo cambiato? Sarà che effettivamente era un whisky differente? Noi lo amiamo comunque, come si dice nei rapporti di coppia più maturi, in cui poco contano difetti e regali, ma la qualità del tempo passato insieme: 90/100.

Sottofondo musicale consigliato: Paolo Conte – Sparring partner

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