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“whisky tour of the world”: girone a (perù-scozia-germania)

Siccome gli Europei sono finiti da qualche mese (e sì, l’Italia ha fatto pena), e siccome per i prossimi Mondiali bisogna aspettare fino al 2026 (quando probabilmente faremo di nuovo pena), come sublimare la nostra voglia di competizione ed esplorazione? Come ingannare l’attesa spasmodica senza morire di sete nel frattempo? Semplice, con un giro del mondo dei whisky.

Se ci sono due tendenze che sono emerse chiaramente negli ultimi anni all’interno del sistema globale del whisky, queste sono l’inflazione dei prezzi e la globalizzazione della produzione. La grande richiesta di single malt ha fatto crescere le quotazioni del liquido e spinto distillatori di tutto il pianeta a cimentarsi con l’orzo e i pot still. Distillerie hanno aperto nei Cinque Continenti e mai nella storia c’è stata a disposizione una così vasta offerta di whisky. Tutti buoni? No, però – lo diciamo sempre – tutti meritevoli di essere conosciuti e provati, perché fatti non foste a viver come bruti che bevono solo Lagavulin, ma per seguir virtute, canoscenza e nuovi dram.

Quindi, per chi come noi è più curioso delle scimmie e più assetato dei cammelli, è arrivato il regalo perfetto. Lo ha ideato e lanciato sul mercato la Gravity Drinks, e si chiama “World whisky tour”. In sostanza, è la versione da salotto del giro del mondo in 80 giorni di Phileas Fogg: solo, invece di circumnavigare fisicamente il globo, lo si può visitare tutto di whisky in whisky.
Un cofanetto bellissimo composto da 5 volumi, che sta benissimo nella libreria in soggiorno così come nell’armadietto dei liquori. All’interno dei tomi, 24 samples da 5 cl da distillerie di tutto il mondo: i colossi Scozia e Irlanda, Stati Uniti e Giappone; ma anche le “tigri asiatiche” India e Taiwan, le nuove realtà europee come Inghilterra, Francia, Germania e Italia e quelle scandinave (Danimarca, Svezia, Finlandia), fino all’Oceania, con Australia e Nuova Zelanda, e alle assolute novità: Perù, Messico, Israele e Austria.
Una guida racconta la storia delle distillerie, due tumbler (incastonati nell’ultimo volume, come nei romanzi gialli) sono proposti per assaggiare i whisketti in compagnia. Insomma, hanno pensato a tutto e lo trovate in vendita qui.

Noi lo abbiamo piazzato in bella vista in salotto e ora iniziamo a berci questo Interrail del malto.

Black whiskey (2024, OB, 45%)
La distilleria Don Michael è l’unica a distillare mais nero delle Ande nella valle di Oxapampa, in Perù. Può vantare il titolo di “whisky più premiato del Sudamerica”, ma anche noi siamo quelli che ne abbiamo bevuto di più sul nostro pianerottolo. Mash: 60% mais nero delle Ande, 30% frumento, 10% malto. C: mogano. N: mobilificio. Smalti, vernici, colle e tantissimo legno fresco. Sia spaccato sia lucidato. Cannella, chiodi di garofano e banana flambé ci portano su territori conosciuti e molto americaneggianti. La vaniglia arriva dopo, tra folate di spezie e dolcezza. Un po’ sgarbato. P: decisamente meglio rispetto al naso. Qui la dolcezza è ben composta, il legno – seppur imperante – è meglio integrato. Piccantezza, chiodi di garofano ancora, fiocchi di chili e anacardi tostati. Banana, quasi papaya. Caffè di Starbucks con il caramello. F: masticabile e media lunghezza, creme brulee e zucchero di canna.
Il naso è minaccioso, il palato fa tirare un sospiro di sollievo. Un whisky di mais peruviano non è uno Speyside di 25 anni, quindi logico sia brusco e spigoloso. Però non è sgradevole e il finale invita al bis. Peccato per quella nota olfattiva di legno e vernice: 82/100.

Nc’Nean organic single malt (2024, OB, 46%)
Distilleria bio al 100%, single malt di 4 anni invecchiato in ex american whiskey barrel (43%), STR (55%) e sherry Oloroso (2%). C: paglierino. N: giovane ma già molto fruttato, con un mix di ananas, mela golden bella matura (quelle raggrinzite che sono state dimenticate nel cesto in cucina…) e crema alla banana. Anzi, composta mele e banane. Biscotti Plasmon, a indicare una bella presenza del cereale. Vaniglietta leggera, mandorle tostate e muesli con le mandorle. Pian piano una bella aria agrumata fresca: cedro. P: giovane, dolce e sincero. Siamo ancora nei territori del biscotto, dei cereali della prima colazione. Frosties glassati, chips di mele gialle, anche un po’ di ananas. Il secondo palato si fa più speziato e tostato, entra in scena l’STR cask. Caramello, noce moscata, bastoncino di liquirizia. F: piccantino e dolce, non corto. Banane e zenzero, una punta di cocco.
Un whisky ben fatto e onesto, che sopperisce con le botti STR alla inevitabile gioventù. Nel complesso molto coerente e pulito. Forse l’alcol è un attimo troppo percepibile, ma nel complesso ne berremmo ancora: 84/100.

Beverbach Tri-cask (2022, OB, 43%)
Single malt tedesco dalla distilleria Hardenberg, Bassa Sassonia, a pochi passi dal confine con Repubblica Ceca e Polonia. Tripla maturazione in ex Kentucky bourbon casks, virgin oak e rovere tedesco. C: vino bianco chiaro. N: molto fresco e acerbo, con mela granny, kiwi, carambola e tutti quei frutti croccantini e verdi. Sorbetto al limone, un che di melissa e coriandolo. Su cui cala una neve di zucchero a velo, che comunque la dolcezza bilancia il tocco asprigno. Si fa più profumato: lavanda. P: acquosetto e un po’ debolino, che è il problema principale. Che sia giovane (e quindi canditi vari, pera, vaniglia) ci sta. Ma che sia un po’ vuoto soprattutto all’inizio ci sta meno. Il secondo palato è quello in cui si fa sentire il legno, con zenzero e qualcosa di metallico. F: cortino, con chips di mela zuccherate e ancora un guizzo acido. Uva bianca.
Non è un cattivo whisky, ma non ha proprio nulla per cui lo si ricorda. Giovane, inoffensivo, evita i difetti più che ricercare la qualità e il carattere: 78/100.

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