Ci siamo riposati, abbiamo digerito le tonnellate di tarallini che abbiamo divorato durante la tre giorni in Fiera a Milano e ora possiamo tornare a recensire whisky come se non ci fosse un domani. Prima di iniziare a sfornare le nostre sapienti note di degustazione, però, ci corre l’obbligo e il piacere di ringraziare tutti quanti si sono fermati al nostro banchetto durante il Milano Whisky Festival. Siete stati tanti, molto affettuosi e molto assetati, due qualità che noi apprezziamo parecchio. Solo una cosa apprezziamo più di voi: la straordinaria Fiorella, fondamentale aiuto allo stand. Grazie Fio, tra questo e il fatto che ti sei presa carico di Giacomo, la via per la santità è ormai spalancata.
Chiusa la parentesi ringraziamenti, diamoci dentro. Oggi recensiamo un Laphroaig 25 anni imbottigliato dallo svizzero Christian Dully, le cui selezioni sono state scovate e importate in Italia da Davide Romano di Valinch & Mallet, che ce lo ha fatto assaggiare. Si tratta del vatting dei due ex bourbon barrel 24 e 88, che ha dato 357 bottiglie.
Poi un giorno ci spiegheranno qual è il nesso fra Zurigo e quel muso di leone dorato che ricorda il robot di Voltron che hanno scelto come logo, ma non è questo il giorno. Il colore è un bel vino bianco.

N: la gentilezza e l’eleganza di un naso d’antan. Siamo nei territori del Laphroaig da favola, quelli oleosi e con una torba marina gentile, di sgombro affumicato o jamon iberico. Ecco, stiamo nel campo del gastronomico: ci sono note dolci, sapide e fumose insieme, con gamberoni, alghe, falò… sassi in riva al mare pure. Profumi di caldarroste fatte nel camino. La frutta è evoluta, forse un noumeno di ananas candito, forse del pompelmo giallo dall’iperuranio, sono suggestioni, non vere note olfattive. Caronno che degusta con noi suggerisce che quel tocco di dolcezza fuori registro che sentiamo possa essere la cipolla a un passo dalla marcescenza. Ah, dimenticavamo la cosa più splendida di tutte: un alone come di sala lettura di biblioteca, dato dal mix fra barile e oleosità.
P: anche qui parliamo la lingua della nobiltà, non gli strepiti dell’intensità. Torba marina mai sfacciata, algosa senza schiaffi, levigata dal tempo. Avvolgente e giusto un filo medicinale. Ci sono ancora carta vecchia, arachidi salate, una oleosità saporita che somiglia più al salmone affumicato, dolce e grasso insieme. Salmone arrostito del Kintyre, per essere precisi. Ci siamo fissati, non è che uno dice “salmone” e pensate a quelle schifezze da 2.99 euro alla Lidl, eh. No, questo sa di salmone top. Poi c’è una parte più dolce, di nocciole al miele, vaniglia, noce moscata… Zero legno, tanta eleganza e un tocco di cremosità e ancora quel senso di frutta gialla (ananas). Bello questo mix.
F: la parte meno straordinaria, perché ce lo aspettavamo più lungo. Dolce e di nuovo unto, con frutta secca, marshmallow bruciato e il fumo che fa un passo indietro, lasciando una cremina con punte salate.
Gran bel whisky, rasentiamo il bengodi e ci fermiamo solo a 90/100. Vecchio stile, una bevuta fine nonostante stiamo parlando di Laphroaig. Non ci siamo più abituati, ma i vecchi Laphroaig erano anche così, maestosi nella ricchezza degli aromi ma molto ben educati, senza spigoli, eccellenti esempi di equilibrio fra tante cose diverse, dalla torba alla dolcezza. Il finale, uffa, è proprio l’unico peccatuccio che ci trattiene dal un voto ancor più alto.
Sottofondo musicale consigliato: U2 – Stuck in a moment I can’t get out of