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FOURSOME CHICHIBU

L’ultimo giapponese che abbiamo bevuto ci ha avvilito come non ci capitava dal guasto del nostro ultimo videoregistratore VHS Mitsubishi. Ma siccome restiamo grandi fan dei distillatori nipponici, cerchiamo subito di lasciarci alle spalle la delusione affidandoci a Ichiro e ai suoi gioiellini liquidi di Chichibu. Nei mesi scorsi si sono accumulati svariati golosi campioncini, che ci siamo tenuti per una sessione di assaggi intensiva e concentrata. Promettiamo recensioni sintetiche, per quanto la nostra logorrea ci consenta…

Chichibu Paris edition 2021 (2021, OB, 53.5%)
L’edizione speciale per La Maison du Whisky del 2021 ha dato 1847 bottiglie: 8 barili del 2013 e 2014, una combinazione di un peated first fill bourbon, tre virgin oak, un port pipe, un ex vino rosso e due Chibidaru quarter cask. C: oro chiaro. N: croccante e fresco, con sorbetti vari (limone, pompelmo) e una clamorosa aria di lavanderia. Amido, gesso, sassi. Minerale, c’è un profumo di petricore, la pioggia sul selciato. Un filo torbatino? La frutta è bianca e scrocchiarella: melone bianco, carambola, litches. Muschio bianco, meringhe al limone, gelato fior di latte. Anche vaniglia. Questa cosa che ha un naso da gelati e sorbetti ci piace un sacco. P: il vino si fa sentire un filo di più, è oleoso, pieno e asciutto: pinoli, olii essenziali di arancia, noccioli di amarene. Spezia in crescita (cannella, parecchi chiodi di garofano). La parte minerale retrocede, maraschino. Pian piano ritorna un fumo leggero: ananas grigliato, con un pizzico di sale. Mango anche. F: cambia, si fa più fumoso e tanto oleoso e masticabile, con una nota lunga di té English breakfast erbaceo.
Un capolavoro di blending, roba da 88/100 e ora spieghiamo perché. L’eterogeneità dei barili è clamorosa, il risultato francamente sorprendente. Un giapponese inconsueto, che non ha nella vellutata perfezione equilibrista il suo focus. Al contrario cambia molto, per autocitarci, passa dal croccante al concreto, dal fresco al secco, fino al deliziosamente fumé. Il tutto senza mai avvertire l’alcol o il legno. Vero che l’età media è bassa, 7-8 anni, ma non è scontato con virgin oak e botti di vino e porto. Chapeau.

Chichibu Floor malted (2009/2012, OB, 50.5%)
Solo orzo locale maltato a pavimento, che rappresenta il 15-20% della produzione di Chichibu. 8800 bottiglie. C: paglierino. N: una botta di banana verde in ogni forma. E melone giallo, e limone dolce, cocco. Un naso che pare un saké, zuccherino e fresco. Ci sono amidi e zuccheri in giusta proporzione, vaniglia proveniente dalla botte. Sa di mosto d’orzo, di wash primordiale e distillato. Ecco, forse in questo senso ora sì, dimostra i suoi soli 3 anni. Una nota umida di warehouse. P: eh, non di semplice godimento. Si apre strano, tra distillato e semi di senape. Ci sono olii esausti, vapore e grasso, ottone e rame. Un sorso viscoso, industriale, petrolchimico. L’orzo è funky, sembra quasi Benrinnes o qualsiasi Scotch distillato con worm tube. Poi ecco il legno nuovo che si fa sentire. Stuoia. Un tocco di salamoia e l’alcol che spinge. Eh, insomma… F: caffelatte con panna, orzo. Aromatico ancora, fa salivare e copre il palato.
Sperimentale, molto interessante ma non beverino. Si avvertono al naso e al palato tutte le varie fasi della produzione, dalla fermentazione alla distillazione. Il risultato è un whisky complicato, che da un lato ha qualche difetto di gioventù e dall’altro una complessità inattesa tipica di invecchiamenti più lunghi. Il mix delle sensazioni dà un voto di 84/100. Non del tutto convincente, ma con cose che per noi nerd sono deliziose.

Chichibu Ipa cask finish (2017, OB, 57.5%)
Outturn di 6700 bottiglie. C: oro pieno. N: un mix bombastico di luppolo e miele. Esisterà il miele di luppolo, quello prodotto da api che si nutrono di nettare di fiori di luppolo? Ci sono note poderosamente vegetali di foglie e fiori di campo, che un alcol molto percepibile porta subito al naso. Certe sfumature di frutta gialla (mele golden!) ricordano il Moscato giallo, quel vitigno aromatico che va forte in Trentino. Di nuovo una quantità di miele importante, susine, e ovviamente la parte citrica del luppolo. P: il moscato si mescola alla birra, in una sorta di panaché geneticamente modificata. Attacca dolce, poi vira subito all’amaro. C’è una nota non gradevolissima di grappa di rosa al cinese, amplificata da un alcol che no, non è ben integrato. L’effetto Nagasaki dell’alcol non aiuta neanche la delicatezza delle note vegetali, che tornano in versione amarognola (il solito luppolo). Curcuma anche. E una dolcezza fruttata un po’ da gommosa Haribo. La diciamo forte: non sembra neanche whisky. F: non lungo, ancora caramelle e si ricompone la dicotomia dolce/amaro.
Tanto ci piace la birra in sé, quanto non ci convince da nessun punto di vista questa espressione. Gli esperimenti hanno senso se aggiungono qualcosa, qui si va invece per sostituzione pura. E alle note cereali di Chichibu si sostituisce questa bordata di luppoli. L’alcol poi è sgraziato, davvero fuori registro per un giapponese. E perfino la parte dolce sembra industriale. Saremo severi, 79/100. Sergione è stato più generoso, ma condivide in generale il giudizio.

Chichibu Red wine cask (2023, OB, 50.5%)
Barili ex vino provenienti da Francia, Usa, Nuova Zelanda e Giappone. 11.800 bottiglie. C: rame. N: si apre un filo alcolico, e con il vino in prima fila. E fin qui, tutto regolare, essendo invecchiato in barili ex vino. Crostata di fragole che è rimasta troppo in forno, vin brulé. Le spezie ci sono tutte, e sono quelle natalizie dei biscotti: cannella e chiodi di garofano. Poi si entra in un mondo più decadente di umidità, tappeti bagnati, cantine, muffe, sordidi sotterranei di castello in cui si perpetrano torture… No, quello no, però insomma la sensazione di cantina c’è. Uvetta, mou e castagne, nonché ciliegie disidratate, chiudono il naso. P: il primo palato è dolce, ancora con quella famosa crostata, su cui qualcuno senza chiedere il permesso ha versato del caramello. Pesche al vino, marmellata di pompelmo rosa. Una nota emerge: gli Amaretti di Sassello! Insomma, pasta di mandorle, ma anche frutti rossi essiccati (mirtilli rossi). Col tempo vira più al secco, all’astringente: spezie (cassia, radici) e tannini piccanti. Più legnoso che vinoso. F: media lunghezza, equilibrato, piacevole sapore di vino, fragola e pepe.
Un finish in vino fatto a modo, in cui il barile dà carattere ma non aggredisce nessuno, né il distillato né tantomeno il povero consumatore. Ci piace l’equilibrio generale, anche se i wine cask difficilmente ci esaltano. 85/100.

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