Carichi a pallettoni come Elon Musk sulla sua Space X e ricolmi di entusiasmo fino alla punta delle orecchie come Spock di Star Trek, dopo aver attraversato indenni la galassia dell’estate, torniamo a velocità supersonica a parlarvi di noi. Già, perché il poema (o filastrocca, sarete voi insindacabili giudici delle nostre velleità) dei whisky selezionati da noi stessi medesimi si arricchisce di altri due capitoli. D’altronde è pur sempre una A Space Whisky Odyssey e non si è mai vista un’odissea di soli tre capitoli, figuriamoci un’odissea spaziale!
Dunque vi presentiamo oggi il Chapter IV della nostra fatica omerica, dedicato a un personaggio enigmatico, ovvero i Lotofagi. I quali – giusto per fare un ripasso – sono dei tossicomani ante-litteram, una via di mezzo fra De Niro nella fumeria d’oppio alla fine di “C’era una volta in America” e i ragazzi dello zoo di Berlino. Solo che si stordiscono di fiori di loto per dimenticare e coccolarsi nell’oblio della piacevolezza. Stanno senzapenzier’, insomma. Ma veniamo al whisky: si tratta del Refill bourbon hogshead #3296 (grado pieno, colore naturale e zero filtraggio a freddo), distillato nel 2006 alla Glenlossie distillery, sapientemente custodito nei magazzini di Signatory e da noi scelto fra i parecchi campioni che siamo riusciti ad ottenere grazie all’intercessione di Paolo Gargano, che attraverso Fine Spirits e La Maison du Whisky ha raggiunto le warehouse di Pitlochry.
Potremmo raccontarvi che il legame con i Lotofagi è dettato dall’analogia dell’attesa: Ulisse arriva alla loro terra dopo nove giorni di tempesta, noi dopo 4 mesi dall’ultimo nostro imbottigliamento. La realtà invece è ben più autoironica: semplicemente, inebriati dal suo profilo davvero unico, ci siamo scapicollati a bloccarlo e ci siamo dimenticati di controllare un dettaglio… Così, dopo esserci ripresi dall’overdose di gioia, ci siamo accorti che è stato imbottigliato un giorno prima del suo 14esimo compleanno. Buona lezione per il futuro: le droghe fanno male, ma non quanto la simpatica cialtroneria. Solo che dalle droghe ci si disintossica, dalla simpatica cialtroneria noi non ci disintossicheremo mai. E forse è anche meglio così. Versiamo e beviamo, come sempre niente voti ma solo tasting notes. Il colore è dorato, con venature verdi (forse abbiamo esagerato, anche con le droghe).
N: La prima impressione è di un’intrigante delicatezza. Una frutta fragrante ci accoglie, freschissima, proprio appena sbucciata: pesca bianca, ananas e un agrume verde pimpante (buccia di lime, ma soprattutto un aromatico bergamotto). Olio essenziale di agrumi. Quello che ci ha colpito la prima volta che ci abbiamo messo sopra i nostri orridi nasi è stata questa vivacità di profumi, ingentilita e resa ancor più elegante da sfumature vegetali e floreali. No, purtroppo non sono fiori di loto, ma gelsomino, felci e un senso di amido e stireria. C’è poi, sotto questi veli leggiadri, il corpo ricco di Glenlossie, con un goloso tocco di burro fresco che si alterna alla vaniglia, in crescendo con qualche goccia d’acqua.
P: a quasi 60 gradi, il primo sorso è una sciabolata di sapore, con l’alcol che non si tira indietro ma non infastidisce. Pochi secondi ed esplode la frutta, ancora bianca e verde, ancora croccante e minerale. Ancora lime e yuzu, mela Granny. C’è un iridescente gioco di dolcezza e acidità che ricorda l’uva bianca con la buccia. Questo lato succoso e acerbo è perfettamente bilanciato dalle spezie del legno (ginger ale, curry verde thai) e da quel che ci pare il “nucleo”, il cuore di questo whisky: un cereale setoso e lussureggiante e una deliziosa oleosità che avvolge la bocca e invita a replicare la bevuta. Con la diluizione emerge una nota più amara di albedo di limone e té Earl Grey.
F: medio lungo, tornano ananas e felce. Si fa cremoso, con cioccolato bianco pastoso e mandorla.
Non ci caverete un giudizio, siamo gente retta e con un senso dell’etica inscalfibile, ma quel che ci è piaciuto davvero tanto di questo whisky è la poliedrica raffinatezza. Nel senso che – da qualsiasi parte lo si prenda – riesce sempre ad essere composto e fine, mai una nota fuori dalle righe, mai un accenno sgraziato. In generale, il dna vegetale e oleoso di Glenlossie sembra quasi aver trovato un’espressione esemplare, dove la frutta, la spezia e il corpo si dividono democristianamente la scena e governano per decenni. Quarta Repubblica dei Lotofagi, avrai il nostro voto! Se anche voi volete aderire, ecco il link per acquistarlo.
Sottofondo musicale consigliato: Astor Piazzolla – Oblivion.