
Come è iniziato il tuo amore per il whisky?
La mia famiglia è legata al mondo del whisky da decenni, visto che mio padre lavora in questo settore praticamente da sempre. E così sono cresciuto in mezzo a tante bottiglie interessanti, anche se a dirla tutta da bambino ero più interessato alla sacca di velluto che avvolgeva il whisky Pinwinnie piuttosto che alla bottiglia stessa… era fantastica per tenerci le biglie! In ogni caso crescendo non ho mai avuto il sogno di lavorare col whisky, ma a un certo punto mi ci sono ritrovato dentro, e di questo posso solo dare la colpa a mio padre: quando nel 1996 ho lasciato l’università avevo 22 anni e avevo bisogno di cominciare a riempire il mio Cv, così mio padre mi suggerì di lavorare fianco a fianco per un anno in Burn Stewart, beh ci sono rimasto sei anni! Quello fu l’inizio di tutto.
Gran bell’esordio, diremmo. E poi quali sono state le tappe che ti hanno portato a fondare una società di imbottigliamenti indipendenti?
Quando ho iniziai in Burn Stewart, nel 1997, mi occupavo di marketing, poi di vendite. Avevamo in portfolio Deanston e Tobermory, ma anche tanti marchi di blended whisky, liquori e altri distillati. Fu un’esperienza assieme molto divertente e molto formativa per me. Poi nel 2003 la compagnia fu venduta ad Angostura e così decisi di tornare all’università per un master. La mia vita trascorreva tra la biblioteca e il pub, quando mio padre fu coinvolto nella cordata che comprò la BenRiach distillery; così, terminati gli studi nel 2004, rieccomi di nuovo nel mondo del whisky, solo che questa volta si trattava di una partita completamente diversa da quella di Burn Stewart: eravamo una realtà piccola, con soli 12 dipendenti, completamente concentrati sul single malt. Il tempismo però fu perfetto, perché l’interesse per la categoria dei single malt esplose più o meno nel 2006 e noi fummo fortunati da comprare a buon prezzo una distilleria dal grande potenziale solo due anni prima. Per i successivi 12 anni la crescita fu notevole, con l’acquisizione di un impianto di imbottigliamento e di due distillerie – GlenDronach nel 2008 e Glenglassaugh nel 2013 – prima dell’acquisizione del gruppo nel 2016 da parte di Brown Forman. A quel punto decisi che il mio contributo lì si era esaurito. Ho passato un anno a riflettere sulla prossima mossa; mio padre aveva iniziato la sua nuova avventura a GlenAllachie e penso che molti si aspettassero che l’avrei seguito. Però cresceva in me l’esigenza di creare qualcosa di mio. Certo il desiderio era quello di rimanere nel settore del whisky, e così fare l’imbottigliatore indipendente mi è sembrata una buona idea, anche se in questi ultimi due anni ho dovuto imparare tante cose, anche complicate, ma finora ne è valsa la pena.

E quindi sono ormai 23 anni che sei immerso nel whisky. Quali ti sembrano i cambiamenti più grossi arrivati in tutto questo tempo?
Il mondo del whisky è cambiato tanto. Quando ho iniziato tutto ruotava attorno ai blended, a pochi importava qualcosa dei single malt. Praticamente non c’erano festival o master class tasting. E poi quando ho iniziato io non esisteva l’ecommerce e i forum di settore online. Francamente l’entusiasmo che oggi vediamo attorno ai single malt era davvero difficile da prevedere nel 1997. Se l’avessi anche solo intuito, sarei corso in banca a chiedere un grosso prestito e avrei cominciato a comprare barili! I consumatori sono ben informati, appassionati e curiosi, soprattutti sui whisky di malto. Mi impressiona il numero di festival, degustazioni e club privati; e tutto ciò ha fatto la differenza per il settore. La conseguenza è che le distillerie non hanno mai fatto così tanti imbottigliamenti come ora, diversificando e sperimentando tanto, cercando anche di spostare più in là i confini di ciò che è permesso fare da disciplinare. E ancora è cambiato il consumatore tipo: prima il whisky era il regno del signore di mezza età, spesso barbuto (!), ma oggi vediamo crescere l’interesse di una generazione di giovani, sia uomini che donne. A dire il vero le barbe non se ne sono andate, ma sono attaccate a ventenni e trentenni… mi dicono che si chiamino hipsters! Altro aspetto è la crescita dei prezzi, con alcuni imbottigliamenti che si sono trasformati da bottiglie di whisky a lavori di design! Il whisky, sia le bottiglie che i barili, sono diventati un investimento attraente, con tanti siti d’aste spuntati come funghi e centinaia di persone che accettano di fare la fila fuori dalle distillerie per comprare l’ultima edizione speciale. Insomma tutto ciò era inimmaginabile 20 anni fa, sono curioso di vedere cosa ci porteranno i prossimi 20.
Poi sicuramente anche il whisky stesso è cambiato in questi decenni. Secondo te le nuove tecniche di produzioni e l’importanza crescente di mantenere una certa costanza tra i batch hanno portato a un appiattimento generale delle differenze o a una più alta qualità media?
Bella domanda. Io sposo la seconda teoria, perché negli ultimi 20 anni tanti sono stati i progressi nell’uso consapevole dei legni e in come le varie parti del processo produttivo influenzino il distillato, a partire dalle varietà di orzo utilizzato. I consumatori non hanno mai avuto così tanta scelte e a volte penso che sia un po’ intimidente. Quasi tutte le distillerie hanno delle gamme fisse oltre alle edizioni speciali, poi ci sono gli imbottigliatori indipendenti, che sono sempre di più. Ovvio che con tutta questa competizione distillatori e imbottigliatori competano al massimo, il che spinge in alto la qualità media dello spirito e dei legni per l’invecchiamento.

E parliamo proprio di questo, cosa chiedi tu a una botte?
Una sola e semplice cosa: qualità. Devi avere fiducia in ogni barile che andrai a imbottigliare, perché avrai il tuo marchio su quella bottiglia. La qualità è fondamentale, quindi, però la mia ricerca è anche sulla varietà. Che siano tanti distillati diversi, operazioni di reimbottamento o “finish”, l’importante è che lo stock sia sempre “profondo” e variegato, voglio che le scelte non siano facili da prendere quando mi metto a scegliere gli imbottigliamenti per il prossimo batch. E così ovviamente cerchiamo anche una certa discontinuità nel medesimo batch, in termini di età, zona, profilo aromatico e fascia di prezzo.
Visto che siete una nuova società, avete già fissato un numero minimo di imbottigliamenti annuali?
Non c’è l’obbligo di raggiungere determinati obiettivi ogni anno in termini di volume o di ricavi, quindi il nostro programma di release di Infrequent Flyers sarà sempre guidato dallo stock e da come le botti stanno maturando, quando le re-rack sono a nosgtro giudizio pronte, ecc. Questo significa che non imbottiglieremo una botte prematuramente solo per raggiungere un numero di vendite. Non abbiamo fretta… Ci sono comunque due canali differenti. In primo luogo, abbiamo l’uscita di batch, che sono omogenee in tutti i mercati in cui siamo presenti. Nel 2019 abbiamo fatto 2 batch, per un totale di 17 botti. Il piano è di rilasciare 3 o 4 lotti all’anno a partire dal 2021, con un numero di botti da 6 a 8 per lotto. Quest’anno invece saranno solo due i batch, dato che la pandemia ha ridotto un po’ i nostri piani. Il batch 3 è stato appena presentato, mentre il batch 4 uscirà verso settembre. Comunque non siamo rigidi su tutto ciò, perché è tutto guidato da ciò che resta nel magazzino. Il secondo filone invece è quello delle esclusive per singoli mercati, con poche botti offerte a singoli clienti su base nazionale. In generale nei primi anni non penso che imbottiglieremo più di 50 botti all’anno, ma vediamo come si evolvono le cose.

Tu vieni da una “scuola” che elevato a forma d’arte il reracking e l’attenzione ai legni. Quanto contano le seconde maturazioni?
Sicuramente facciamo molta attenzione al tema. Quando lavoravo a BenRiach abbiamo fatto dei wood finish pazzeschi, provando tanti tipi di barili diversi, capendo cosa funziona bene e cosa no. Poi a GlenDronach abbiamo lavorato molto sui barili ex Sherry, ottenendo uno stile di whisky che personalmente amo molto. Chiamateli come volete- re-racking, wood management, finishing, 2nd maturation– in ogni caso ne vedrete molti creati dalla Alistar Walker Whisky Company. Il programma di re-reacking in ex Sherry puncheon, Port pipe, Rye Barrel e altro ancora è iniziato all’inizio del 2019 ed è ancora in corso presso la distilleria GlenAllachie, dove invecchia tutto il mio stock di botti. Si tratta di un investimento importante, poiché legni di qualità costano e poi c’è la manodopera, oltre al fatto di dover “comprare tempo” per aspettare che la maturazione faccia la sua parte. Così ci sono tanti costi ma stiamo parlando della parte più gratificante del lavoro, il momento in cui metti la tua firma su un questi che, diciamolo senza ipocrisie, è stato fatto da un altro. E poi è sempre eccitare attendere di vedere l’evoluzione impressa al distillato. Con le prossimi imbottigliamenti di Infrequent Flyers cominceremo a vedere i risultati, ma ci sarà un bilanciamento tra le nostre “creazioni” e le botti “originali” che rispettano l’identità della distilleria.
Ci puoi rivelare se c’è qualche botte che reputi davvero speciale in cantina ora?
Oggi è difficile mettere le mani su whisky ultrainvecchiati, ma alcuni li abbiamo e usciranno con parsimonia nei prossimi anni. Alcuni sono nella loro botte originaria, altri li abbiamo travasati. Ci sono sempre delle sorprese, però, alcune whisky maturano in modo inaspettato, e a volte sono proprio queste le vere gemme, ma non si possono prevedere! Purtroppo non posso rivelare troppo, gli imbottigliatori indipendenti devono sempre essere attenti a non far vedere le carte che hanno in mano, questa è una delle prime cose che ho imparato!

Va bene, non insistiamo, proviamo a capire qualcosa di più così: quali sono le tue distillerie preferite tra quelle poco conosciute?
Non so se la si può definire “nascosta”, ma sono molto contento di alcuni barili di Glen Keith che ho comprato e tra l’altro il primo imbottigliamento è stato proprio un Glen Keith di 26 anni. Penso che anche Ben Nevis e Linkwood siano grandi whisky. Ci sono anche distillerie meno conosciute che possono sorprendere, abbiamo imbottigliato di recente un Auchroisk e un Macduff che trovo superbi.
Domanda difficile. Quali sono i tre whisky che porteresti su un’isola deserta?
Che domanda! Per modestia non sceglierò uno dei miei imbottigliamenti… Per anni uno dei miei whisky di riferimento è stato GlenDronach 18 yo Allardice. Un sacco di gente va matta per il 15 yo, ma ho sempre preferito l’Allardice, di cui non può mancare una bottiglia aperta in casa. Sono indeciso con un single cask di GlenDronach del 1972 che conservo gelosamente (ma aperta!) a casa. Alla fine direi però che il 18 yo prevale, mentre dal cilindro tiro fuori anche alcuni BenRiach con finish in botte vergine, in particolare ne ricordo uno in esclusiva per il mercato svedese. In ogni caso sono un grande fan degli invecchiamenti in botti vergini. La terza bottiglia è un Ben Nevis 14 yo (1992/2007) in ex Sherry che mi sono sbevazzato spesso in quest’ultimo periodo. È stato dato a mio padre come regalo e lui l’ha dato a me, gli ho fatto prendere polvere per un po’ e poi l’ho aperto. Purtroppo ne è rimasto poco, ma non voglio finirlo perché so che sarà difficile trovare un degno sostituto! Immagino che, dato che due delle mie scelte sono ex sherry, ho rivelato la mia passione per questo tipo di whisky…

Un’ultima domanda. Come pensi che i social abbiamo cambiato il modo di vedere e la comunicazione dello Single malt Scotch whisky?
Tanto è cambiato, anche perchè quando io ho iniziato semplicemente non esistevano i social. C’erano alcune riviste specializzate e pochi che scrivevano di whisky. Niente festival, pochissime degustazioni e niente internet, quindi niente comunità online. Questi aspetti sono cresciuti in modo esponenziale negli ultimi anni. Il nostro pubblico è globale, e il bello dell’online è che permette ai membri di questa comunità internazionale del whisky di rimanere connessi. C’è grande dibattito sulle nuove uscite, le valutazioni, i prezzi, ecc. Come imbottigliatore, o distillatore, è molto utile ascoltare le opinioni online, oltre che nei festival, perché ti aiuta a capire bene quello che le persone cercano in un whisky, e puoi far tesoro di ciò. E poi la condivizione di informazioni e idee che Internet permette aiuta la categoria a crescere ed evolversi. Durante la pandemia è stato grazie a Internet che i produttori sono rimasti vicini ai consumatori, con degustazioni virtuali e sessioni di domande e risposte che per ora sostituiscono le degustazioni fisiche e i festival del whisky. Chiudo con un auspicio però: speriamo che ci si possa ritrovare presto dal vivo per questi eventi!