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Highland Park Dragon legend (2017, OB, 43,1%)

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Se volete studiare la mitologia norrena attraverso il black metal, partite da queste band, se riuscite a leggerne i nomi

In quasi dieci anni di onesta carriera di alcolisti travestiti da recensori di whisky, abbiamo imparato molte cose. Qualcuna sulla distillazione, qualcuna sulla geografia delle Highlands, qualcuna perfino sull’agronomia dell’orzo. Ma di una cosa siamo diventati nostro malgrado esperti: di mitologia norrena. Di queste nozioni non richieste e del tutto superflue (a meno che non siate come alcuni di noi fan del black metal norvegese) ringraziamo i ragazzi del marketing di Highland Park, che ad ognuno dei loro – innumerevoli – imbottigliamenti ci obbligano ad andare a cercare i riferimenti. Dopo Odino, Thor, Loki, le Valchirie, il Valhalla, Ragnvald, Harald, orsi, lupi e delfini, eccoci con il drago, spin-off della storia di Sigurd, che già ha avuto il suo bravo imbottigliamento anni fa. Senza addentrarci nella Saga dei Volsunghi (o dei Nibelunghi, nella tradizione gemella germanica), che somiglia a un mix fra Beautiful e Il trono di spade, il drago Fafnir è ucciso da Sigurd con una prova di grande coraggio. Almeno equivalente a quello che mostriamo noi davanti alle ideone di HP. Questo “Dragon legend” è un NAS invecchiato in barili sherry seasoned di rovere europeo e americano. Lanciato nel 2017, è ancora nel core range in alcuni mercati.

N: si parte con della frutta molto intensa, colorata di rosso: non frutta fresca, più sulle caramelle geleé, all’arancia o alla fragola. Poi mela rossa candita, che dà un senso di festa di paese. Accanto, c’è anche una dolcezza più cremosa, tra caramella mou e caffelatte zuccherato. Caramelle di zucchero. Dietro questa morbida saga (ehm…) di morbidezze, ecco spuntare il dna isolano: una freschezza minerale che stempera la dolcezza e un fumo delicato e aromatico. È a suo modo vegetale è abbastanza pulito, con un che di foglie autunnali umide. Resta – come sempre con Highland Park – il classico miele d’erica (barretta al miele, anche?), tradizionale come gli elmi con le corna.

P: l’ingresso non è molto maestoso, il corpo inizialmente acquoso però migliora tenendo il whisky in bocca per qualche secondo. Si fa più caldo e denso, diremmo come un motore diesel, se non ci portasse fuori strada come una jeep (stiamo degenerando, sì). Ancora frutta, ma salata. Chips di mela, caramello salato bretone, zucchero di canna, scorza d’arancia drageé nel cioccolato al latte. La torba c’è, pepata e discreta, “verde” e sapida. Nocciole, qualcuno dice “leggermente tostate”. Siamo gente precisa, si sa.

F: col tempo migliora, il finale è medio-lungo e più intenso del previsto, non dolciastro. Resta sulla mandorla, il pepe, il caramello e un lieve fumo di torba, malto.

Certamente è un whisky costruito (e bene) a tavolino, che più dei draghi ricorda le dolci colline delle Orcadi in una bella giornata d’autunno. Ci fa sempre riflettere il fatto che Highland Park non riesca ad essere cattivo nemmeno quando imbottiglia queste invenzioni a metà tra il marketing e l’epica scandinava. Evidentemente lo spirito e la competenza dei blender sono di assoluta qualità. Non è un dram di grande complessità, non ci perderemmo ore a scomporlo, ma questa facilità di beva e una morbidezza mai eccessiva ci piacciono, e non ce ne vergogniamo: 84/100.

Sottofondo musicale consigliato: Sigur Ròs – Hoppìpolla

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