Stando ai racconti mitologici di Fabio Ermoli, il laboratorio dei campioni di Billy Walker alla GlenAllachie distillery è quanto di più simile sul nostro pianeta al concetto di “paradiso terrestre”. In questo antro, la leggenda dello Scotch già artefice del boom della Benriach (marchi Benriach, Glendronach e Glenglassaugh), lavora da quando nel 2017 ha rilevato GlenAllachie. Qui, attorniato da samples come un alchimista, prova e riprova e mette a punto le sue ricerche. Chi c’è stato, ne parla come si parlerebbe di un’esperienza extracorporea…
Ad ogni modo, l’ultimo frutto del lavoro sopraffino di Walker è il GlenAllachie più vecchio mai rilasciato: un 35 anni distillato nel 1989 che è stato presentato a Milano qualche settimana fa da Fabio Ermoli appunto, che con Lost Dram Selection è lo storico importatore del brand, e dal colosso veneto Ferrowine, che recentemente si è legato a Fabio.
Ma ciancio alle bande, come direbbe il mai abbastanza compianto Luca Giurato. Siccome Billy Walker è un genietto con il gusto per le cose complicate almeno quanto coltiva il gusto per la naturalezza del suo whisky, per questa release da 1700 bottiglie ha scelto una composizione curiosa di botti: 3 hogshead ex sherry PX, un puncheon ex sherry Oloroso e due barrel di rovere americano vergine. Ecco, sono queste due botti a rappresentare un grande esperimento e un grande punto esclamativo, perché se è vero che il virgin oak è spesso usato per dare freschezza, mai alla GlenAllachie si era deciso di usarlo in un marriage con botti di sherry sovraossidate. Coraggio o follia? Ai poster l’ardua sentenza, sempre come direbbe Giurato. Il colore è uno spettacolare rosso cremisi scuro.
N: si apre con una valanga di amarene sotto spirito, con chiodi di garofano e cioccolatini Boeri che spuntano ovunque. In questa commissione scura, in cui fanno capolino il cuoio lucidato e una frutta rossa crescente che arriva a note di uva fragola, prugne rosse e marmellata di more e mirtilli, emerge nitido l’impatto del virgin oak. Nel senso che una freschezza mentolata riesce a farsi strada in un olfatto molto sherroso segnato dal tempo. E quindi, oltre alle note ossidate e a quel senso di cacao con frutti (le bacche del caffè, anche), ecco guizzare della canfora, la menta dei cioccolatini After Eight, un che di assenzio dolce. Col tempo, funghi porcini secchi e di nuovo quella frutta nera che stavolta si accoppia alla liquirizia gommosa: Morositas. Piuttosto unico e anche ben integrato, non siamo sicuri sia anche entusiasmante.
P: senz’altro pieno e totalizzante. Si apre con la frutta rossa (fragole, lamponi, ora anche uvetta), ma rispetto al naso qui si sente di più l’apporto vinoso dello sherry, con picchi pungenti che richiamano anche l’aceto di sherry. La spezia è più sui toni del legno, con cacao puro, zenzero, un che di china e vaniglia che ci ricorda certi vermut rossi non particolarmente dolci. Ecco, c’è anche una dimensione erbacea vagamente amarognola che contribuisce a ricordare i vermut. E perfino qualcosa di terroso, forse fondo di caffè? Forse pellame? Di nuovo le gelée di more, l’uva fragola e un senso di panettone che un distratto pasticciere ha dimenticato in forno oltre il tempo di cottura. Di nuovo, impossibile dire che non sia un palato intrigante e interessantissimo, però è un po’ errabondo, c’è talmente tanta roba dentro che sembra spostare il focus palatale appena ci si concentra su un aspetto.
F: non esageratamente tannico, di media lunghezza. Fa salivare, tra guizzi di liquirizia, noci e frutti di bosco neri (ribes, more).
Siamo tutti capaci di ridurre alla freddezza dei numeri un capolavoro o una ciofeca. Ma qui siamo di fronte a uno di quei whisky che ci mettono alla prova e per cui non esiste una votazione univoca. Proviamo a sintetizzare: alcol perfettamente integrato, mirabile profondità di sentori da sherry, impatto piacevole in bocca. Al contempo, qualcosa sembra stridere rispetto ai nostri canoni sensoriali, ed è esattamente il virgin oak con il suo bagaglio carico carico di note fresche. Non ci siamo abituati. E’ come se la mente scintillante di Billy Walker andasse a una velocità doppia rispetto al gusto comune. Un whisky straordinariamente complesso, forse a scapito dell’immediatezza di godimento. Ci scopriamo a mormorare un “mah” che segnala il nostro limite e questo ci basta per capire che ne riconosciamo la grandezza, ma nella nostra piccolezza non ci ha fatto impazzire. 87/100.
Sottofondo musicale consigliato: Mastodon – More than I could chew