Il whisky più atteso, alla degustazione di lunedì scorso, era certamente l’Ardbeg del 1972, imbottigliato nel 2003 per l’importatore italiano Velier. Gli Ardbeg di questi anni hanno una fama eccezionale: ricordiamo che fino al 1977 l’orzo veniva maltato direttamente in distilleria, e la cosa – dicono i professionisti – conferiva al distillato un carattere mai più eguagliato successivamente. Le 246 bottiglie messe in commercio sono ormai una rarità: è assai difficile trovarne, anche all’asta, e anche quando doveste riuscire a farcela, siate pronti a spendere almeno 1200 o 1300 euro. Ne consegue che le possibilità di bere effettivamente questo whisky in futuro sono davvero minime – ringraziamo ancora Andrea e Giuseppe per aver deciso di aprire una delle loro bottiglie…! La selezione della botte (#2782) si deve al distillery manager tra il ’97 e il 2006, ovvero Stuart Thomson, figura semi-leggendaria su cui gli aneddoti si sprecano… Ma noi non ve ne diremo neanche uno, perché adesso siamo troppo impegnati ad assaggiare questo capolavoro, e, di conseguenza, a godere… Il colore è di un bel giallo paglierino.
N: ad accoglierci c’è un’affumicatura netta ma ingentilita dai 30 anni di invecchiamento, immediatamente integrata e presto messa in secondo piano da una fitta gamma di aromi. Proviamo ad andare con ordine: la marinità c’è tutta, tra note iodate e alghe secche, e accanto a questo un torbato molto lieve. Poi, puro delirio, l’universo mondo: dolce di mandorle, vaniglia (il noumeno della vaniglia, una ur-vaniglia!), cocco fresco, sidro / succo di mela, kiwi maturo; meringa. Marmellata d’arancia; cremoso (crema al limone, preparato per torte). C’è poi anche un lato vegetale, erbaceo, se pure a vampate: liquirizia, anice; foglie di tè. Chiudendo gli occhi, sembra di entrare in una pasticceria; poi li richiudi di nuovo e sembra di stare in riva al mare; li richiudi ancora e stai davanti ad un camino acceso… Esperienza totale. Non si sente mai il bisogno di aggiungere acqua, ci pensano il tempo e l’aria a mantenere questo whisky in costante evoluzione.
P: WOW! Mai assaggiata una cosa così. Di grande coerenza rispetto al naso: non stiamo a ripetere quanto scritto al naso, ma la gamma di sapori dolci (ancora tra mandorla, vaniglia, marmellata d’arancia, frutta tropicale) colpisce la lingua a fiammate, mentre la sensazione generale al palato è di un’affumicatura salata veramente strabiliante. Questa intensità è forse l’unica deviazione rispetto al naso, che lasciava presagire ad un fumo meno marcato: a colpire è appunto l’intensità dell’affumicatura, dopo 30 anni in botte…
F: non smette mai, un finale lungo fino al giorno successivo… Infinito e potentissimo. Cenere, torba, camino spento. Punte, qua e là, di menta e limone. Un poco di sale. Succo di arancia amara.
La sintesi di tutte le parole spese finora è: spettacolare. Le opportunità di assaggiare whisky di questa qualità e di questa epoca si vanno fisiologicamente riducendo con il tempo, ma possiamo garantire che ne vale la pena. E’ un’esperienza diversa, superiore, oltre che didatticamente utile: aiuta a spostare in alto l’asticella dell’esigenza e a ricollocare in una dimensione di ‘normalità’ molto di ciò che si beve di solito. In questo whisky tutto è armonioso: complessità, bilanciamento, intensità degli aromi… Tutto si fonde perfettamente, è uno e cento whisky insieme. Il nostro giudizio è di 95/100; qui potete leggere l’opinione di Serge Valentin.
Sottofondo musicale consigliato: Nina Simone – Sinnerman, un capolavoro adeguato al whisky cui s’accompagna.