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Botti da Orbi: London (was) calling

I più anziani delle tribù raccontano che tanto tanto tempo fa, prima che una minuscola forma di vita sconvolgesse il mondo, esistevano luoghi chiamati “bar”. Erano antri misteriosi, dove la gente si recava per chiacchierare, stare insieme senza un iPhone a fare da tramite e bere cose buone diverse dall’Amuchina e dai suoi derivati.
C’era addirittura chi, capitato per caso o per lavoro in una città lontana, organizzava dei veri e propri safari alla ricerca dei bar più curiosi, quelli che servivano le pozioni migliori. Uno degli ombelichi mondiali di questa attività era Londra. E questo è il racconto epico di quegli eroici giorni lontani, quando le mascherine si usavano solo nei filmini osè amatoriali e si poteva vagare liberi e randagi come coyote per cinque giorni andando a caccia di whisky bizzarri. Avessimo un Omero, avremmo materiale per un’altra Odissea. Invece niente Omero, niente Polifemo e solo Orbi in cerca di botti…

IMG_1787Boisdale of Belgravia, 15 Eccleston St., London SW1W 9LX
Prima tappa, Burns Night al Boisdale,  a pochi passi dalla Victoria station. Bel clima, bel ristorante, anche se la serata è un po’ commerciale, con questo simpatico signore azzimato che si aggira con la cornamusa accoltellando haggis gelido con sempre minor entusiasmo. C’è da dire però che la lista dei whisky di questo ristorante scozzese è di tutto rispetto. E che a fine cena qualcosa di mai visto salta fuori…

IMG_1790Bunnahabhain 25 yo (1989/2015, Boisdale 25th anniversary, 44%)
A dire il vero questo in lista non c’è. Però tra i motivi ottimi per bere un Martini al bancone prima di sedersi a tavola c’è anche che hai qualche minuto per scrutare la bottigliera. Etichetta strana, un 25 dorato e la scritta “Boisdale”. Qualcosa di speciale, dunque. Vale la pena farsi maledire dalla povera cameriera (che non lo trova né sul menu, né sulle mensole) per assaggiarlo. Al naso è molto curioso, non dimostra per nulla l’età. Colpisce una nota “farmy”, come di fieno. Poi una freschezza inusuale, tra mele Granny, fiori bianchi e miele d’acacia. Una spira di fumo di candela. Pian piano emerge qualcosa di più profondo, tra le nocciole e il cioccolato al latte. Ora il tocco di fattoria diventa l’aria delle cantine fresche, accanto al mare. Iodio.
Al palato continua questa generale freschezza, stavolta trainata da parecchio kiwi e bucce di mela. Di nuovo miele, ma ora tutto è più erbaceo. Di nuovo non dimostra i suoi anni, il legno è accennato (balsa). Emerge invece la mineralità, tra la salsedine e la grafite. Finale dolce, mieloso, dove spunta un filo di torba.
Decisamente inusuale, probabilmente i barili non erano troppo attivi. Così lo spirito è rimasto molto fresco e primigenio nonostante i 25 anni, con il dna costiero che riverbera in una freschezza generale molto piacevole. C’è però da dire che manca di quella complessità che i Bunna sanno regalare a invecchiamenti onorevoli. E non è un dettaglio da poco. 86/100

Millroy’s of Soho, 3 Greek St, London W1D 4NX
Di fatto è il tempio del whisky londinese. Fondato nel 1964 dai fratelli John e Wallace, è stato il negozio più rifornito di vini, champagne e distillati per decenni. Ceduto ad una compagnia, nel 2014 è tornato indipendente e passarci un paio d’ore è una gioia. Sia che uno stia al bancone a chiacchierare con un turista giapponese, un’americana e una ragazza turca col padre che è venuto a trovarla; sia che tu scenda nel Vault, la misteriosa saletta privata a cui si accede attraverso una porta segreta dietro la libreria. Ad ogni modo, il Milroy’s non è solo bar: è negozio, perché le bottiglie sono in vendita; è scuola, perché organizza corsi e degustazioni; ed è estensione del salotto, perché qui si possono affittare mobiletti bar chiusi a chiave dove tenere le proprie bottiglie aperte. Insomma, un paradiso a Soho.

IMG_1986Glenfarclas 24 yo per Milroy’s (OB, 50%)
Un bombolone di sherry di intensità rara, carichissimo, vinoso, legnoso, supercalifragilistichespiralidoso. Uvette al rum, pere cotte nel vino rosso, amarene sotto spirito. Tutto molto profondo, appiccicoso. C’è anche una nota di solvente, poi entra in gioco qualcosa di più scuro: nocino, caffè e cacao. Un guizzo di patchouli.
Oh caspita, al palato i tannini galoppano a perdifiato. L’Oloroso qui cambia un po’ i lineamenti, anche se si rimane nel campo delle sensazioni “sticky”. Stavolta ci sono più agrumi (arancia quasi andata e liquore all’arancia), si fa succoso e caldo. C’è di nuovo il cioccolato fondente, ma le spezie aumentano di volume: liquirizia, perfino peperoncino. E un vago ego di legno tostato, quasi affumicato. Con acqua si fa più dolce, spunta un che di violetta. Il finale è lungo e agrumato, con After Eight e albicocche secche.
Bellissimo, ma non ci vivrei. Traducendo: è molto divertente e sfidante, mostra un’intensità e una concentrazione di sapori impressionante. Ma come spesso accade con gli sherry bomb, dopo il primo bicchiere non ti precipiteresti a berne un altro. Anche perché al palato si fa davvero un po’ troppo tannico. Too big to enjoy? Intendiamoci, rimane un grandissimo whisky e non si può chiedere a un 24 anni agilità di beva, ma è come un abito tre pezzi in tweed: è solo per selezionate occasioni. 88/100

IMG_1988Chichibu White Bordeaux cask (2012/2019, OB for Milroy’s of Soho, 60.4%)
“Quando le abbiamo messe sul mercato, alcuni hanno dormito davanti al negozio: 153 bottiglie, non ne abbiamo più neanche una in vendita”. Così raccontano i ragazzi del Milroy’s quando chiedi se per caso non ne sia rimasta una da comprare. E allora niente, ci si accontenta di un dram. Chichibu a Londra è assai trendy e su questo sito, che è così trendy da essere praticamente il Vogue del malto, il nostro Jacopo/Anne Wintour ne ha già recensito uno in Pinot noir per il ristorante Sexy Fish, uno in Imperial stout per Whisky Exchange e uno per Number One Drinks. Questo si aggiunge alla triade: è maturato in barili di Bordeaux bianco per 7 anni a più di 60 gradi. Banzai!
Ultimamente va tanto di moda il quinto gusto fondamentale, l’umami. Ecco, al di là delle suggestioni da ristorante giapponese, il primo naso è esattamente così. Decisamente saporito, bizzarro. Poi aumenta la frutta, che è rossa e tendenzialmente acida: ribes, mirtilli rossi e bucce di mela Stark. Ha bisogno di tempo, dato il grado. Con calma si innalzano volute di cacao e Mon Cheri, mou, nocciole. La frutta si fa più rotonda, mele gialle e melone. Molto aromatico, adesso.
Il cioccolato è ancora protagonista. Un cioccolato dolce, torta al madera. Caramello salato anche. Un palato morbido ma possente, in cui la frutta diventa meno fresca: pesca molto matura, albicocche secche e mirtilli. Ciliegie candite? Una puntina di liquirizia. L’alcol comunque è indomito, due gocce d’acqua lo quietano, ma spunta un tocco amaro, dal barile. Stessa cosa nel finale, ancora sui frutti rossi (lampone e rosa), con un quid saporito: con acqua si fa più legnosetto.
Un camaleonte vero, nervoso, incapace di stare fermo. Tagliente e vellutato, muscoloso e delicato. Alterna frutta rossa e cioccolato, sale e legno. Impossibile da catalogare, difficile da sezionare, semplice capire che è un whisky eccellente. 89/100

Black Rock, 9 Christopher Street, London EC2A 2BS
Quartiere Shoreditch, in mezzo ai grattacieli della City. Business e movida. Qui si trova “il seminterrato che ha cambiato le regole del gioco”. Aperto quattro anni fa, il Black Rock è un whisky bar più sperimentale del Milroy’s. I whisky sono divisi non per regione, ma per profilo aromatico. Se ne stanno in quattro vetrinette, su scaffali diversi per range di prezzo. In mezzo alla sala, un tavolone/serbatoio contiene il blended della casa e un cocktail, entrambi alla spina. Su ogni tavolo di marmo, un rubinetto di ottone per l’acqua.
TIMG_2093he Wilderness Brexit Blend batch 001 (2019, Sacred Spirits, 44.8%)
L’ultimo whisky della carrellata londinese non è il migliore ma è senza dubbio il più ironico, dissacrante e introvabile. Si tratta di un blended creato in collaborazione tra il ristorante di Birmingham “The Wilderness” e la distilleria Sacred per sfottere i Brexiters: “Il whisky da tenere in mano mentre guardi il mondo crollare a pezzi”. I blenders hanno unito malti da Scozia, Inghilterra e Galles e whisky di grano e orzo non maltato dall’Irlanda del Nord, a simboleggiare l’intero Regno Unito. Hanno utilizzato botti ex madera e di rovere francese e hanno aspettato sei anni. Poi hanno scelto un packaging geniale, con un’etichetta che recita: “Un accurato blend di whisky dalle isole britanniche, meglio se consumato liscio, in un bunker nucleare, coccolando la propria famiglia a lume di candela”. Ma le sorprese non sono finite, perché il retro della bottiglia… Beh, lo vedete qui e vi fate un’idea da soli.
IMG_2095Subito si sprigiona una torba evidente e catramata, ma non aggressiva. Le note dolci (dolcissime, anche) sono prevalenti. Pesche sciroppate, sticky toffee pudding a iosa. Il madera si fa sentire, tutto avviluppa. C’è una distinta sensazione di birra ale, di quelle quasi caramellate. Un tocco di fiori d’arancio. L’alcol non dà fastidio.
In bocca la dolcezza si fa travolgente ed eccessiva. Caramella mou, frutta cotta in tonnellate di zucchero di canna, melassa. L’unica altra nota percettibile è la torba: gomma bruciata. Difficile trovare altro, rimane bidimensionale e un po’ grossolano. Il retrogusto ricorda le Morositas. Il finale non lo redime, di nuovo dolciastro, come di sciroppo per la tosse.
Una creazione divertente e molto arguta, senza pretese di raffinatezza sensoriale. Al naso non è neppure sgradevole, ma in bocca si perde, si fa banalotto. 77/100

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