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Botti da orbi: 3 “Exit level”, whisky per smettere di bere whisky

Dicesi “entry level” l’espressione di una gamma dalla quale si parte per esplorare tutto il core range. L’entry level è l’anticamera della distilleria, la prima cosa che l’appassionato assaggia appena varcata la soglia psicologica di quel marchio. Sono i whisky più facili, accessibili, non per forza i peggiori se pensiamo che per anni l’entry level di Talisker è stato il 10 anni (Dio lo conservi e lo abbia in gloria).
Ad ogni modo, se esistono gli entry level, che ti accolgono e ti invitano a proseguire di assaggio in assaggio, perché non devono esistere gli “exit level”? Cioè whisky che dopo averli provati l’unica cosa che vorresti fare è smettere di bere distillato di malto. Whisky imbarazzanti, mal riusciti o – siamo sensibili e non vogliamo ferire i poveri distillatori – “diversamente buoni”.

Il giusto utilizzo che andrebbe fatto di alcuni discutibili distillati

Perché al di là del rispetto sacro per chiunque investa e lavori per produrre whisky, bisogna essere sinceri: alcune cose non si possono bere. Sempre questione di gusti, per carità, ma in ogni casa ci sono bottiglie che giacciono intoccabili per anni dopo il primo, ferale dram. Talmente deludenti, da venire ricoperte di polvere, nascoste dietro altre bottiglie che ci facciano dimenticare la debolezza dell’acquisto, evitate perfino per usi culinari, che alcuni rovinerebbero perfino il rognone da sfumare. Ecco, questa rubrica è dedicata a quei whisky freak che ci hanno devastato le papille gustative e ci hanno fatto rimpiangere perfino la vodka, che almeno non sa di niente. Siete i nostri piccoli speciali, vi vogliamo bene lo stesso. Basta che la bottiglia la finisca qualcun altro…

Mettermalt single malt 4 yo (2020, OB, 46%)

La Fesslermill 1396 è una distilleria con sede a Sersheim, nel Baden-Württemberg tedesco, gestita da Tobias e Wolfgang Fessler. Nel mulino si produce di tutto, dal muesli al pane fino al gin e al whisky: di grano, di segale e anche di solo malto. Noi – grazie a Davide che abita le terre che furono di Carlo Magno, Nietzsche e Rummenigge – siamo così fortunati da assaggiare il single malt, un 4 anni insignito di un 86.5/100 da Jim Murray quest’anno. N. legno nuovo e cartone, praticamente il Pacs dell’Ikea quando ti arriva a casa inscatolato. Buccia di mandorla. Poi un indistinto Armageddon di poltiglia di banana e boule di gomma dell’acqua calda. Sembra il traffico di Napoli, non ci si capisce una fava. Anzi, un favo di miele. Con dentro del caramello. Appoggiato su una scarpa di cuoio. Che cammina sopra un malting floor di cereale acerbo. Con di fianco il master blender che si scola una bottiglia di gin. E mangia delle mandorle coperte di paprika affumicata. Che bello il surrealismo! P. inizialmente innocuo, corpo deboluccio e un mix di miele e cereale. Poi anche qui parte la brocca e via ad ampie falcate verso il disastro: ancora scarpe lucidate, di quelle che tutti noi sbocconcelliamo ogni tanto, legno fresco, arancia e un alcol amaro. Ancora mandorla acerba e un retrogusto di erbe tra il mirto e la menta. Ah, nel mirto però ci pucciamo anche delle patatine al miele e bacon, perché siamo dei viziosi visionari. F. dolciastro e spiritoso, e non nel senso che fa ridere. Cioccolato scadente, uvetta e curry.
C’è un’assenza di grazia che se fosse ricercata sarebbe mirabile: nessun sentore sta bene con quello accanto, e anche per la legge dei grandi numeri è difficile. Confuso, artificiale, giovane, spiacevole, amaro e dolciastro insieme. Amici della grande Germania, perché non continuate a fare acquavite di frutta, i nostri screzi calcistici e militari dovrebbero essere acqua passata no? 68/100.

Pfau Brand single malt (2019, OB, 43%)

Valentin Latschen sembra aver risposto alla nostra domanda retorica di prima. Pfau infatti è specializzata in distillati di frutta e il motto è “La qualità nasce in giardino”. Perfetto. Però evidentemente il cupio dissolvi è irresistibile anche in Carinzia, e il nostro amico austriaco non ha resistito alla tentazione di cimentarsi nel single malt. Da Klagenfurt a dorso di pavone (è l’animale-guida della distilleria, anche se forse anche lui è dubbioso sul risultato del whisky, dato che tiene la coda ben chiusa nel logo sulla bottiglia), eccolo tutto per noi. Non ricordiamo chi ringraziare, purtroppo: siamo tornati dal Whisky Revolution Festival di Castelfranco con questo tesssssoro e ahimé non ci siamo appuntati il generoso donatore. Non è detto che per costui sia un male… N. oh, pensavamo fosse whisky, invece è grappa di Moscato. Ha tutti i toni della grappa morbida, è smodatamente aromatico. Il che sarebbe un bene se fosse una grappa o un deodorante. C’è della pera, a testimoniare l’età assai giovane, uva matura e un tocco di tropicalità. Poi spunta un che di fieno sudato, tipo i pagliericci umidicci. Non che ci siamo mai dilettati a fare ginnastica nelle stalle, ma se dovessimo pensare a delle flessioni in una mangiatoia, immagineremmo questo irresistibile aroma. Miele millefiori, a rendere più potabile il tutto, o forse grappa di millefiori. P. se il naso era un’altra cosa ma non per forza ributtante, il palato è subito abbastanza terribile. Rimane questo soverchio senso di profumo che tutto annienta. Lavanda alcolica. Olii essenziali di dubbia provenienza, pere, di nuovo Moscato. A cui si somma, come una ciliegina sulla carbonara, anche una sgradevole sensazione alcolica. F. piatto, parto degenere dell’amplesso fra albicocca amara e amarena dolciastra. Piede sudato.
Da Klagenfurt con furore per produrre un single malt che sa di grappa di Moscato al naso, ma che in bocca riesce a perdere perfino quel poco di piacevole all’olfatto. Il gusto fa segnare encefalogramma piatto e rispetto al cugino tedesco non ha neppure il cereale né l’intensità. 66/100.

Hong Thong (HB*, 35%)
* Hell bottling, distillato direttamente all’inferno

Qui abbiamo un nome e un volto da ringraziare per l’omaggio: Matteo Zampini, che sempre a Castelfranco ha portato questo monile cesellato dalle sapienti mani degli artigiani thailandesi. Artigiani metallurgici, ovviamente, mica distillatori. La gradazione è un inquietante 35%, il numero del diavolo dei superalcolici disgustosi. Il nome dovrebbe significare “Fenice d’oro”, ma a noi piace pensare che sia il nome della mitica la Città dei Tanga, oppure di un enorme scimmione ubriaco che si agita nei peggiori bordelli di Bangkok. Siete spaventati? Non è ancora nulla. Il prodotto della Bangyikhan Distillery è infatti un derivato di melassa e riso. E infatti in un rigurgito di onestà si sono rifiutati di chiamarlo whisky, ma “brown spirit”. Il primo che nomina un’altra cosa marrone vince una boccia! N. insulina, presto! Basta una sniffata e scatta il diabete. Una dolcezza smarmellata ovunque lo fa sembrare un rum aromatizzato alla vaniglia. La colatura di zuccherinità è molto “gialla” e appiccicosa, gelato alla banana e spuma cedrata, comunque estremamente artificiale. C’è anche una nota di citronella fastidiosa, che vira in un che di sgradevolmente floreale: come un flacone di profumo versato in una piscina putrida. Sono belle immagini, che riconciliano col mondo. P. l’orrore, come mormorava Kurtz di Apocalypse now. Acquoso e limaccioso, dolciastro e ruvidamente amaro insieme. Banane marce avvolte nell’erba secca. Sciroppo per la tosse di quelli che ti guastano la bocca per ore. Cartone bagnato tagliato alla julienne e cosparso di zucchero bianco. Nauseante. F. prendete una parte di ginger ale, una parte di birra irrancidita aperta da settimane e scioglieteci dentro dello zucchero. Poi chiamate un’ambulanza.
In Rete si trova un delizioso topic sul seguente (legittimo) quesito: “Hong Thong può far diventare ciechi?”. La risposta migliore è questa: “Se hai comprato questa roba eri già cieco prima”. Dicono che con CocaCola o soda alla ciliegia sia decente, ma anche Andrej Chikatilo quando non esercitava il cannibalismo a volte poteva anche sembrare cortese. Semplicemente è la cosa peggiore che ci è mai capitato di assaggiare: si avverte l’oscenità della materia prima, l’imperizia della distillazione dozzinale e la totale mancanza di qualsiasi nota positiva. Eccetto il nome, perché aver creato un whisky che si chiama come un perizoma vale un punto in più: 41/100.

Sottofondo musicale consigliato: Persiana Jones – Minaccia alcolica

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