Ah, Teeling, l’Irish whiskey dal nome così simile ad una pratica cosmetica per rendere la pelle lucente… Dicevamo, Teeling è uno dei protagonisti del grande boom del whiskey irlandese di questi anni. Già, perché la distilleria di Dublino – aperta nel 2015 con il ricavato della vendita di Cooley da parte di John Teeling, ultimo discendente di una stirpe di distillatori fin dal XVIII secolo – ha contribuito assai a “svecchiare” il panorama irlandese. Lo ha fatto con imbottigliamenti originali e abbordabili, ma anche con rilasci di lusso e di altissima qualità. Tra questi ultimi ci sono sicuramente quelli della “Renaissance series”: single malt di 18 anni realizzati con diversi finishing. Noi, grazie ad Ansalone, la cui barba brizzolata ha beneficiato di anni di peeling facciale appunto, beviamo il capitolo IV: 9mila bottiglie di whiskey invecchiato in botti ex bourbon e affinato in barili ex Pineau des Charentes. Oibò, di cosa si tratta? Di una mistella, ovvero due terzi di mosto d’uva e un terzo di Cognac, la cui produzione è consentita solo ai bouilleurs de cru della Charente. E voi non vi fareste un peeling facciale con il Pineau?

N: è più Irish di una banshee con una corona di trifogli nei capelli rossi che beve una Guinness. Super fruttato, super aromatico: un piacere scoppiettante nelle narici. Il primo naso ricorda il RedBreast, che è un single pot still, mentre qui siamo davanti a un single malt. Ad ogni modo, lo ricorda per l’iridescente composizione di mela rossa, pesca all’amaretto (davvero impressionante) prugne e litchees. Un olfatto molto compatto, con piccole variazioni su un tema preciso: c’è della dolcezza (té alla pesca, marzapane, dolcetti all’albicocca), c’è un guizzo erbaceo (verbena) e un bel profumo di pan di spezie appena sfornato. Con il tempo, emerge nitido il vino, pimpantino.
P: nessuno potrà accusarlo di essere analcolico, perché picchia abbastanza per essere a 46%. C’è da dire che l’alcol sostiene l’intensità anche al palato, dove rispetto al naso cresce la dimensione più masticabile, nonostante il corpo dello spirito sia snello. Fatta salva la pesca, che domina questo whiskey, ci sono mousse di mela, rabarbaro e bacche di goji. E albicocche secche, anche. In generale, rispetto all’olfatto c’è meno polpa e più buccia, con relativa acidità in crescendo, dovuta a una vinosità forse un po’ accentuata. Pian piano cresce una sensazione zenzero e legno, piacevoli. Ancora un po’ alcolico.
F: liquore al cioccolato e malto fresco. Il legno è verde, ritorna il tocco erbaceo. Lunghetto e vinoso.
Bella bevuta, sana e goduriosa. Tanta frutta, dolcezza elegante senza svaccare, legno ben presente ma mai sgradevole. La cosa migliore è il pareggio perfetto fra il distillato femmineo e primaverile e l’apporto maschio e deciso della botte. Un matrimonio ben riuscito. Un punticino in meno per l’alcol forse troppo ruspante per un 18 anni, e uno in meno per l’influenza del barile di vino che alla lunga potrebbe risultare stucchevole. Però anche considerata la “difficoltà” di un finish così raro, ragazzi è un piccolo miracolo: 86/100.
Sottofondo musicale consigliato: Circa Survive – The difference between medicine and poison is in the dose