Siccome voi – nostri amati, attenti lettori – siete dei precisetti, iniziamo subito mettendo le mani avanti: questa release di Corryvreckan che recensiamo oggi non è tecnicamente la prima. Nel 2008, infatti, Ardbeg aveva rilasciato 5mila bottiglie come limited edition Committee release. Doveva finire lì, one shot, un colpo e via, come tanti altri imbottigliamenti. Il fatto è che quel mix di botti ex bourbon e rovere francese dava al classico malto isolano di Ardbeg delle sfumature nuove e l’idea di farne un continuativo era troppo attraente. Così, dal 2009, il Corry è entrato nel core range.
Dicono i ben informati che la scelta di Bill Lumsden di renderlo continuativo sia stata accolta con un certo panico in distilleria, perché di quei barili di rovere francese non è che ce ne fossero poi un’infinità. Negli anni quindi la ricetta del vatting è un po’ cambiata e pare che solo in questi ultimi anni finalmente si sia tornati a una ricetta identica a quelle prime releases.
Ultima cosa da aggiungere: la storia del vichingo Vreckan ve l’abbiamo già raccontata quando abbiamo recensito The Abyss, il sequel di quel whisky. Sottolineiamo un dettaglio: nell’etichetta, in un angolino, si vede la nave sprofondare nel gorgo. Ahimé dal 2017 è stata cancellata. Ci piaceva di più prima, vediamo se solo l’etichetta o anche il liquido. Il colore è oro chiaro.

N: ha la severa autorevolezza di certi lupi di mare, quelli che possono raccontare una storia davanti al fuoco oppure scannarti a babordo per poi gettarti agli squali. L’alcol si avverte, ma la protagonista assoluta è la torba, poderosa, con un fumo possente e spesso, di asfalto e sigari giunti a quel livello di combustione “Cormorano incatramato alla griglia”. Pungente, con staffilate di pepe bianco. Vibra, il legno francese ultra-attivo si sente, tra note di cantina, lana bagnata e olio di noci. Il mare c’è, non solo nel mito di Vreckan, ma anche in una certa nota di alghe wakame riarse e pesce in carpione. Corrado dice “sarde in saor torbate” e così sia. Col tempo, tutto si livella, una patina incantevole di metallo ossidato e lucidato (forse unto, più che lucidato) rende tutto più elegante.
P: potente e oleoso, molto più espressivo rispetto al naso. Ci sono ampie porzioni di frutti di mare, cozze, calamari alla griglia. E poi frutta secca, soprattutto noci e arachidi, che arrivano direttamente dal rovere francese. C’è poi una parte agrumata vivace, di limonata amara, che vira al vegetale: erbe amare, canfora bruciata, creosoto. Perfino eucalipto e olive verdi. E questo preciso senso di olio è il tocco che lo rende epico, molto vecchio stile. Kiwi, biscotti alla mela, pepe e zenzero a chiudere. Con acqua la dolcezza del barile emerge ancor più nettamente, té alle erbe zuccherato. E un mouthfeel avvolgente che non c’è nei Corryvreckan attuali.
F: la parte più emozionante: lunghissimo, con pesce affumicato, olive nere, catrame e olio che si mischiano alle praline al cioccolato al latte. E un che di argilla salata… Spaziale.
Così come sembra difficile credere che la madre del principe Alberto di Monaco fosse Grace Kelly, non è facile pensare che il primo Corryvreckan fosse così. Così diverso e molto più elegante degli imbottigliamenti di oggi, che comunque noi apprezziamo, eh. Però qui non c’è arroganza, e c’è un’oleosità che ti abbraccia e ti tiene con sé. Anche la parte dolce, è più costruita ed evoluta, e quasi sembra di avvertire un tocco di OBE. Ad ogni modo, ne berremmo a gollate, anche perché l’alcol – avvertibile al primo naso – poi sparisce come per magia. 90/100, e passa la paura.
Sottofondo musicale consigliato: Cake – Sinking ship