Proprio il giorno prima del Milano Whisky Festival, per iniziare a carburare, abbiamo avuto la fortuna di essere invitati al ristorante della Rinascente con vista Madonnina per la presentazione della collezione “The Whisky Heroes”, dell’imbottigliatore indipendente di Glasgow Brave New Spirits. Il quale non solo ha una propria linea di selezioni (single cask o small batch, invecchiati solo in botti bourbon o sherry), ma sta anche ultimando la costruzione di una distilleria a Campbeltown: si chiamerà Wichburn, produrrà 2,5 milioni di litri l’anno e non vediamo l’ora che sia operativa.
Ad ogni modo, grazie all’importatore italiano Mavolo e al Sales & Marketing Director Paul Dempsey, ne abbiamo assaggiati cinque ed ecco le nostre impressioni.
Linkwood 13 yo ‘The Awakening’ (2024, Brave New Spirits, 53.3%)
Un Oloroso sherry butt che ha dato 522 bottiglie. C: oro scuro. N: brillante e fruttato, con una potenza espressiva e una piacevolezza totali. Pesche, clementini, profuma di marmellata e benessere. Brioche all’albicocca, ma anche una parte più gentile di té al gelsomino. Claudio Riva parla di note di sedano, a testimonianza dell’anima verde. Cresce il pompelmo rosa e soprattutto quel profumo di crostatine all’albicocca che ci portano indietro alla merenda delle elementari. Un che di pinolata. Litches. Ottimo. P: più affilato del previsto, molto vecchio stile. Il legno c’è, con il suo portato di tabacco, cuoio e praline. Il pompelmo rosa è ancora qui, vibrante, per un palato decisamente più secco, con zenzero, albicocche secche, molto malto burroso e un accenno di alcol. F: secco, con malaga, ciliegia candita e macis. Ancora pompelmo.
Bello assai, un invecchiamento in sherry ben fatto, che esalta il malto di Linkwood. Cambia molto fra naso e palato, ma non è necessariamente un difetto. Anzi, è pluridimensionale. Forse è anche il whisky più cerebrale dei cinque, nel senso che non ha una nota eccentrica, è più fondato sulla solidità. A noi piace molto: 87/100.
Cameronbridge 14 yo ‘Call to submission’ (2024, Brave New Spirits, 50.3%)
Single grain invecchiato in first fill PX hogshead, 296 bottiglie. C: mogano. N: si apre con la nota che più di tutte distingue il grain: lo smalto. Per fortuna non dura molto e si stempera in una dolcezza cremosina e speziata. La nota più evidente è la zuppa inglese, o forse è tiramisù. La frutta è arancione, tanta papaya essiccata e arancia rossa dallo sherry. Succo di melograno, uvetta, ma a dominare il secondo naso sono le spezie, dalla cannella ai chiodi di garofano fino alla noce moscata. P: ha queste note quasi esterificate che ricordano certi rum. Liquirizia, cioccolato e uvetta. Una nota particolare ci solletica: il cioccolato Ubric di Claudio Corallo, quello in cui ci sono uvette macerate nel distillato di polpa di cacao. Boeri. Ancora questo mix di legno, sciroppo e acetone. Tannini e boeri. F: sigaro, cacao puro e uvetta. Angostura.
La parte di smalto non ci fa esattamente impazzire, e a dirla tutta forse neanche l’ondata di spezie del palato. Non il nostro genere, ma senza dubbio ha il pregio di essere esuberante, non lascia indifferenti. Per noi manca un po’ di coerenza interna, ma è un 82/100.
Loch Lomond 10 yo ‘Deep creatures of the lake’ (2024, Brave New Spirits, 58.1%)
Small batch di 425 bottiglie invecchiato in botti ex bourbon. C: vino bianco. N: introduciamo una nuova dimensione: la sporcizia. Questo concetto sottovalutato ed erroneamente criticato nel whisky. Qui ci sono sensazioni di fattoria, di iuta, fieno insilato, pavimento di warehouse. Biscotti e agricoltura, fumo di candela e vita rurale. La frutta è bourbon-oriented, quindi cocco tostato e cedro. Cereale macinato che è il grande protagonista e metallo che è il co-protagonista. Con acqua spunta un lato erbaceo. Indivia. P: giovane e maltoso, con vaniglia e legno sugli scudi, il che sorprende il giusto. Si secca subito, non nel senso che si mette di cattivo umore, ma diventa asciutto, distillatoso. Pere, mele gialle, la dolcezza è quella dei cereali glassati, del biscotto Grancereale. L’acqua gli fa un gran bene, smussa gli spigoli. F: legno nuovo, sughero, vaniglia e l’eco di un fumo lontano.
Sicuramente interessante, premiamo l’esperienza divertente con un 83/100. Tecnicamente non il più elegante della serata, ma chi cerca un profilo “diverso” lo amerà sicuramente.
Annandale 8 yo ‘Defender of the crown’ (2024, Brave New Spirits, 52.9%)
Single malt torbato tra i 10 e i 20 ppm, invecchiato in un first fill Oloroso sherry butt che ha dato 676 bottiglie. C: rame carico. N: ecco, qui la sporcizia fa un passo ulteriore verso l’inferno, nel senso che dilaga lo zolfo, il metallo bruciato, il formaggio. Ci sono puzzette che spuntano ovunque, alcune provenienti dal distillato e altre – come l’arancia ammuffita – dal barile. Una bella nota di timo secco e origano, con un’idea di geranio, si spande sopra un sostrato di olio bruciato e melassa. Bordata sensoriale vera. P: la grassezza un po’ lurida ma affascinante è meno esplosiva. In compenso crescono la frutta (prugne essiccate) e la tostatura. Croccante di arachidi, melassa incrostata. Il barile è attivissimo, compaiono noti di nocino, polvere, liquirizia. Con acqua anche qui migliora, si fa più erbaceo e più caramellato. Anice, rabarbaro. F: lunghetto, secco, un filo alcolico e con una bella oleosità.
Cominciamo a cogliere una linea comune di questa serie: il coraggio di sorprendere. Un whisky per chi non ha paura di fare a spallate con un distillato sporco, con note tutt’altro che tradizionali. Stile particolarissimo, una torba zozza che incuriosisce. Poi ecco, non aspettatevi la delicatezza, ma se i patti sono chiari, chiaro è anche il voto: 84/100.
Caol Ila 12 yo ‘The haunting songs’ (2024, Brave New Spirits, 51.6%)
Un finish in first fill sherry oloroso: 694 bottiglie. C: aranciato. N: non perché il colore ce lo ricordi, ma la prima nota è l’arancia. Inchiostro e fumo di camino, mescolato alle ostriche e al sale. Molto scattante, più sulle tonalità dell’agrumato (mandarino) che del salmastro. Patatine BBQ, speck: affumicato e saporito, ma forse patisce un po’ di disconnessione fra barile e distillato. Una suggestione: il sughero che la mamma bruciava per dipingerci i baffi da zorro o da vichingo o da Magnum PI a Carnevale. Sì, ci vestivamo da Magnum PI, avete da ridire!? Due gocce d’acqua acuiscono il lime e fanno emergere un buon caramello. P: alcolico e un filo chiuso, con un’anima vinosa e una legnosa. Falò, ritorna quel guizzo acidulo da aceto di Jerez. Caramello, buccia di albicocca. Migliora con il tempo e anche con l’acqua, che fa far pace a distillato e barile e sprigiona uvetta e cenere. F: trova la pace con un finale sucre-salé. Petto d’anatra affumicato, il che non è male come sapore da tenere con sé per qualche minuto.
Caol Ila è sempre un malto di qualità, non ci sono dubbi. E anche qui si lascia godere facilmente. Non siamo convintissimi però del finish, perché le note vinose sembrano un po’ appiccicate sopra, non propriamente fuse con il distillato. Una pennellata di sherry un po’ così, insomma, non esattamente raffinata. 84/100.